Ermanno Scervino, expertise sartoriale italiano per un prêt-à-couture di eccellenza.
Brigitte Macron simbolo di eleganza assoluta. Amal Clooney musa ideale. Parigi fonte di ispirazione. Ermanno Scervino, stilista co-fondatore dell’omonimo marchio fiorentino, si racconta a Posh nel suo nuovo percorso di sperimentazione che coniuga heritage e tecnologie esclusive per un concetto di bellezza unico.
Un’eleganza sofisticata senza rinunciare a quell’immagine fresca e moderna che i diktat impongono. Creatività, innovazione e artigianalità rappresentano le costanti di una storia affascinante che ha garantito a Ermanno Scervino un successo vincente e una riconoscibilità internazionale. Lo stilista parte dalle origini per guardare in avanti e intraprendere un nuovo percorso, con un omaggio a una femminilità contemporanea. Sofisticate creazioni che nascono dalle mani di esperte première che lavorano con costanza nei preziosi laboratori tra le colline del Chianti, nel quartier generale della casa di moda fiorentina. Un’interpretazione stilistica che risulta evidente nella bellissima campagna primavera estate 2018 scattata dal fotografo svedese Mikael Jansson con le modelle McKenna Hellam, He Cong, Myrthe Bolt e il modello Barry Lomeka immortalati a Forte dei Marmi, per evidenziare l’intenso legame che unisce la Maison al territorio toscano. E mentre rafforza la presenza sul mercato russo e asiatico, il brand si prepara a volare a Los Angeles per gli Oscar dove aprirà un ufficio ad hoc «per stare vicino alle star hollywoodiane», ha dichiarato a Posh Ermanno Scervino, anima creativa dell’omonima Maison.
Quello che un tempo era un laboratorio sartoriale dove venivano cuciti gli abiti per l’aristocrazia inglese e le ricche dinastie fiorentine, oggi è la sede aziendale di Ermanno Scervino, alle porte di Firenze. Un brand cementato sul savoir-faire artigianale, che abbraccia scelte stilistiche al passo coi tempi. Qual è, secondo lei, la strategia per essere all’avanguardia conservando quei valori del made in Italy che rappresentano un punto di forza del nostro Paese?
Interpretare il Made in Italy non come una semplice operazione nostalgica, ma attingere alle competenze sartoriali e artigianali per creare ogni volta qualcosa di nuovo. Ogni singolo capo di una mia collezione è il risultato di un processo complesso, fatto di almeno cinque mesi di continue sperimentazioni, perché non voglio che i capi soffrano dell’appiattimento dell’industrializzazione. Ritengo che un prodotto eccellente si possa ottenere solo usando mani sapienti, esperte, che sappiano riconoscere i tessuti, saggiarne la consistenza, per poi saperli unire tra loro con ago e filo. Ma questo non basta. Bisogna vivere nella contemporaneità, osservare la realtà che si ha intorno. Creare una couture pensata per il quotidiano, in cui la tradizione sartoriale e la meticolosa cura per i dettagli siano esaltati dalle lavorazioni e dai materiali più innovativi e sperimentali. La mia volontà è di creare abiti moderni e seducenti, pensati per una donna di oggi, dallo stile internazionale, che si senta a suo agio negli abiti indipendentemente da dove vive: Los Angeles, Roma, Tokyo o San Pietroburgo.
Come vede il cambiamento attuale dell’industria fashion e come preservare il valore dell’artigianalità?
Negli ultimi anni l’industria del fashion sta sempre più spingendo sull’acceleratore, il che è veramente una sfida impegnativa, perché creatività e cura per il dettaglio richiedono tempo. Bisognerebbe ritrovare dei tempi più umani e sostenibili. In questo modo, si favorirebbe anche la cura del prodotto, la sua realizzazione sartoriale. Non bisogna creare abiti buoni solo per essere pubblicati sui social. Alle spalle deve esserci la sostanza. Perché il destinatario finale del nostro lavoro sono le clienti che vanno in negozio e acquistano gli abiti.
Il sistema moda si arricchisce di nuovi ed entusiasti designer. Creatività, talento, fortuna, business… cosa privilegiare?
Il lavoro. Tutto il resto, creatività, talento, fortuna e spirito imprenditoriale, subentrano dopo. Prima bisogna lavorare, crearsi un importante bagaglio di esperienza. È impensabile fare il designer senza saper scegliere i tessuti al primo tocco, senza sapere come accostarli, come lavorarli, senza conoscere a fondo delle lavorazioni per poi evolverle e creare qualcosa di nuovo. Tutti i grandi stilisti hanno fatto la gavetta, sono partiti dal basso e, con impegno e determinazione, hanno costruito la loro strada verso l’alto.
Milanese di nascita, fiorentino d’adozione ma Parigi nel cuore. Cosa porta con sé della Ville Lumière?
Mi sono trasferito a Parigi a diciott’anni, proprio per iniziare il mio apprendistato nel mondo della moda. Ho trovato che fosse fin da subito una città dinamica, cosmopolita, nella quale si respiravano stile e bellezza a ogni angolo di strada. Quel periodo è stato essenziale alla mia formazione. Ma Parigi è essenziale per me ancora oggi. Per trovare ispirazione, per capire le tendenze e i desideri di uomini e donne, mi reco a Parigi almeno due volte l’anno. È lì, camminando per i suoi boulevard e osservando la gente, che trovo terreno fertile per la mia creatività.
Negli anni Novanta trionfava un minimalismo esasperato, con volumi misurati, linee semplici, forme delicate. Lei invece si distingueva per piume, pizzi e ricami conferendo alla donna una femminilità unica. Cosa pensa della moda in un’era dove a dominare sembra essere il genderless e lo streetwear?
Devo dire che mi considero sempre un po’ estraneo alle tendenze del momento, per il semplice fatto che ho una personale idea stilistica che porto avanti con determinazione. Più che dal genderless, sono sempre stato affascinato dall’accostamento tra codici d’abbigliamento maschili e femminili, perché trovo che il risultato sia molto moderno. Nelle ultime collezioni, ad esempio, ho abbinato piumini oversized o cappotti in tessuti prettamente maschili a impalpabili sottovesti in pizzo, proprio per creare una nuova, armonica idea di femminilità. Lo streetwear, invece, è sempre stato uno dei miei obiettivi. Nonostante i miei abiti abbiano una produzione dal sapore couture, sono pensati proprio per la vita di tutti i giorni, per essere indossati dalle donne durante i diversi momenti della loro quotidianità.
È cresciuto in una famiglia radicata nell’arte e la musica. Quanto hanno inciso le origini nel suo percorso?
Moltissimo. Il mio amore per la bellezza è maturato fin dalla tenera età, in special modo su influenza di mia madre. Una donna di classe, sempre attenta ai dettagli e che possedeva uno straordinario gusto, che spero di aver acquisito il più possibile.
Cosa rappresenta per lei la bellezza?
Una meta alla quale tendere continuamente. La bellezza, per me, ha un’influenza enorme. È anche uno dei motivi per cui ho scelto di fondare la mia Maison in Toscana, perché lì siamo circondati dalla bellezza, è un territorio che ispira, ricco di arte e cultura ma anche generoso dal punto di vista eno-gastronomico. Una bellezza che viene trasferita negli abiti. È questo il mio vero lavoro: essere al servizio della bellezza.
La Cina ha recentemente approdato nello sviluppo del marchio. L’Asia è diventata negli ultimi anni un mercato sempre più in crescita. Quali sono gli altri Paesi da tener d’occhio e su cui investire?
Sicuramente la Russia e i Paesi del Middle East. Qui si trova una clientela che ama le cose belle, fatte bene e perfette fin nei minimi dettagli. È un tipo di mentalità che sento molto affine.
Ha una musa ideale?
Le mie muse sono tutte le donne di carattere, emancipate e indipendenti. Da sempre sono stato ispirato dal mondo dell’immagine, dal cinema e dalle attrici icona del cinema italiano, come Sophia Loren, Anna Magnani o Monica Vitti, che mi hanno influenzato nel modo di trasporre la seduzione e la femminilità in passerella. Oggi invece mi vengono in mente donne belle ma soprattutto di successo, talentuose, intelligenti e autonome. Una su tutte, sicuramente, Amal Clooney.
La sua più grande passione?
Il mio lavoro. Non lo dico per passare come uno stakanovista instancabile, ma è così. La mia vita ormai coincide strettamente con il lavoro. Ci sono sicuramente momenti di stanchezza, di difficoltà, nei quali si vorrebbe accantonare tutto per un po’, riposarsi e ricaricare le batterie. Ma la verità è che quando lavoro, quando realizzo un abito perfetto come lo volevo io, sono felice.
I capi firmati Ermanno Scervino sono il risultato di un intenso lavoro da parte di esperte première… una professione forse oggi poco ambita. Tutti aspirano a diventare famosi designer…
Come dicevo prima, al giorno d’oggi c’è un po’ la tendenza a voler bruciare le tappe, a voler tutto e subito. Per fortuna non sempre è così. Nel mio atelier lavorano molte ragazze giovani, appassionate del loro lavoro e felici di stare gomito a gomito con le première più esperte, dalle quali imparare il mestiere. Trovare queste ragazze è difficile, ma non impossibile.
Melania Trump…Brigitte Macron…Carla Bruni…Tre first lady di gran stile. Chi preferisce?
Tutte donne bellissime e di classe. Ma confesso di avere un debole per Brigitte Macron, perché è un simbolo, è la dimostrazione che l’eleganza non ha età. Come si fa a non stare dalla sua parte?
Cosa mi dice dell’ispirazione? Da dove vengono le idee delle sue creazioni?
L’ispirazione può essere molto varia: posso essere colpito da un film, da un libro o ancora, avendo il privilegio di vivere e lavorare in una città ricca di arte come Firenze, dalle linee di una scultura come dalle policromie di certe vetrate. Spesso, inoltre, mi reco nelle grandi città, Londra e Parigi, per ispirarmi. La parte più difficile è poi trasporre le mie idee astratte, le mie ispirazioni, in materiali, colori e forme.
Dalla Croisette di Cannes agli Oscar a Los Angeles. Quali le novità da svelarci?
Una riguarda proprio Los Angeles. Stiamo per aprirvi un ufficio, proprio per venire incontro alla crescente domanda di mie creazioni da parte delle star hollywoodiane. Solo nell’ultimo anno, celebrities come Nicole Kidman, Rita Ora e Alessandra Ambrosio hanno scelto di indossare miei abiti. Con l’apertura di Los Angeles riuscirò a essere più vicino a loro.
Un sogno che vorrebbe si avverasse entro il 2018?
Le dirò: il 2017 è stato per me un anno veramente bello, ricco di soddisfazioni. Il desiderio quindi è che continui così fino alla fine dell’anno.
Tre libri sul comodino…
Sicuramente le Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar: un capolavoro e il mio libro preferito. Poi, un volume monografico sui giardini toscani, dal quale prendere ispirazione per il mio roseto. Infine, Il Dottor Zivago, di cui amo la protagonista Lara.
Lei è un habitué di quale ristorante? In Italia e all’estero.
A Firenze frequento spesso il Ristorante Fuor D’Acqua e il Ristorante Cammillo. Quando sono a Parigi, invece, non rinuncio mai a fare un salto al Kinugawa Vendôme, un ristorante giapponese che amo molto.
Una città da scoprire?
Ultimamente mi piace molto Milano. È una città che negli ultimi anni ha veramente cambiato volto, proiettandosi con decisione nel futuro.
La sua playlist include…
If everybody in the world loved everybody in the world degli Stylophonic. Con il tempo è diventata la colonna sonora della mia vita lavorativa. La ascoltai per la prima volta nel 2005 e ne rimasi colpito. Da quel momento, l’ho voluta per i finali di tutti i miei show. È una sorta di portafortuna, anche se non sono scaramantico.
Il successo è…
Essere considerato, dalle mie clienti, un punto di riferimento per esaltare la loro femminilità.