POSH incontra Pietro Ruffo. L’artista contemporaneo racconta le sue collaborazioni con l’alta moda nate da un’intesa speciale con Maria Grazia Chiuri, creative director del womenswear Dior.
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Nato a Roma nel 1978, Pietro Ruffo già durante il corso di laurea in architettura si appassiona all’arte del disegno. Oggi realizza opere su supporti differenti che comprendono l’utilizzo di tecniche diverse come acquerelli, inchiostri, pittura, collage.
Tramite il suo lavoro analizza tematiche politiche contemporanee, mettendo in dialogo riferimenti del passato con la più stringente attualità. Il suo segno distintivo risiede in straordinarie composizioni attraverso ritagli di carta che, montati con spilli su mappe geografiche, diventano costellazioni stratificate e vibranti. La sua ricerca mira a descrivere nuove idee di libertà, in un dialogo incessante tra le differenze, che hanno conquistato anche il mondo dell’alta moda. Dior in particolare e il suo direttore creativo Maria Grazia Chiuri con cui ha collaborato per l’ultima collezione di Haute Couture.
In che modo fai ricerca?
Le ricerche che faccio nascono da passioni. In questo momento particolare mi appassiona molto il tempo dell’Antropocene (con essa si indica, letteralmente, “l’era dell’uomo”, ovvero una fase caratterizzata dall’impronta dell’essere umano sull’ecosistema globale, ndr). Ho iniziato a documentarmi con libri o saggi e man mano stanno iniziando a materializzarsi le prime immagini nella mia mente. È come fare un ricamo all’uncinetto. Mi definisco un artista politico perché mi interessa la polis e l’humanitas, ma non ho bandiere da veicolare, soltanto spunti di riflessione.
Tra i tuoi lavori recenti balzano all’occhio quelli realizzati per il mondo dell’alta moda. Com’è nato questo feeling?
È nato tutto nel 2015 con una telefonata di Maria Grazia Chiuri, al tempo Direttrice Artistica insieme a Pier Piccioli di Maison Valentino. Avevo realizzato un aeroplano in scala 1:1 per la Galleria Nazionale di Arte Moderna. Un autentico aereo della Prima Guerra Mondiale ricostruito completamente e rivestito con un camouflage di carta. Il camouflage in quegli anni era anche al centro della poetica Valentino quindi entrambi i designer rimasero molto colpiti dalla mia opera. Maria Grazia mi chiamò per parlami. Qui a Roma quando si riceve una telefonata del genere non necessariamente accade qualcosa subito dopo. La Chiuri, invece, dopo due ore era già nel mio studio per parlarmi della sua esperienza da Valentino. Mi chiese di farle visita nella sede centrale della casa di moda, in Piazza Mignanelli. Mi portò nel suo ufficio, da cui si vede tutta la meraviglia di Piazza di Spagna e mi disse: “Vogliamo sfilare con l’alta moda a Roma. Ci piacerebbe fare una scenografia importante per l’occasione, solitamente lavoriamo con Dante Ferretti ma vorremmo che te ne occupassi tu. Sarà una piazza nella piazza”. Il tema quindi era quello della stratificazione, centrale per Valentino, ma anche per la città di Roma. Dopo varie tribolazioni interne, ho portato a compimento il progetto. La sfilata fu inserita in una tre giorni intitolata Mirabilia Romae, con una mostra diffusa, l’inaugurazione di un nuovo negozio in piazza di Spagna e la presentazione di un libro, dal titolo omonimo.
Perché sei stato definito l’“artista della libertà”?
Ho lavorato molti anni sul tema specifico della libertà. Son partito dallo studio di alcuni filosofi che hanno affrontato l’argomento e sono arrivato a vincere una borsa di ricerca presso la Columbia University di New York, ampliando così i miei studi sui filosofi liberali negli Stati Uniti. Il tema della libertà è centrale nel mio lavoro, ma è un concetto che non possediamo mai veramente. Ci rendiamo conto dell’importanza della libertà solo quando questa ci viene negata, quando ci sono dei nemici da combattere. Non so se noi artisti possiamo aiutare davvero gli altri a sentirsi più liberi, ma sicuramente possono aiutare a incuriosire.
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