Dal 24 Febbraio al 25 Giugno 2023, Palazzo Reale di Milano in collaborazione con il comune di Milano ed Arthemisia, presenta un’importante esposizione dedicata a quello che è considerato già dagli anni Settanta il maestro indiscusso della videoarte.
Ogni volta che prendiamo parte ad un evento d’arte contemporanea noi italiani, consci e forti della nostra storia, non possiamo fare a meno di pensare: potrà davvero l’arte sopravvivere alle sue rovine?! Potranno mai, gli artisti contemporanei, essere degni continuatori di una tradizione fatta di giganti, senza rimanere nani, aggrappati faticosamente alle loro spalle?
Credo che uno dei leitmotiv più interessanti della storia dell’arte sia senza ombra di dubbio il concetto di tradizione artista ovvero la possibilità da parte degli artisti di essere influenzati da colleghi del passato. Un lessico familiare fatto di rimandi e citazioni. Non si potrebbe comprendere Dante senza aver letto Virgilio, non potremmo amare l’Ulisse di Joyce senza intrecciare i riferimenti con l’eroe Omerico. Non potremmo nemmeno apprezzare De Chirico, senza aver chiaro nella mente Piero della Francesca. Questi aspetti assolutamente familiari ed intuitivi nell’arte antica sembrano essere più estranei quando l’arte diventa moderna e gli strumenti ed i supporti cambiano.
Un video artista, un Visual-artist sembra apparentemente un individuo che si è auto-generato. Un artista senza padri ne madri. Ma è davvero così? Bill Viola con le sue opere ci ricorda quanto il presente abbia di fatto un volto antico e che la storia bisogna in un qualche modo meritarsela.
Nato a New York nel 1951, di origini italo americane, Bill è riconosciuto a livello internazionale come l’artista che, attraverso le sperimentazioni della video arte, ha realizzato opere uniche considerate a tutti gli effetti dei capolavori d’arte contemporanea. Partendo dalle potenzialità della performance art e dai film sperimentali, Viola da oltre quarant’anni realizza lavori che attraverso un nuovo linguaggio artistico, indagano costantemente l’essere umano. Le sue ricerche sono intrise di influenze legate tanto alla filosofia orientale quanto a quella occidentale, all’importanza iconica del mondo naturale e anche alla teatralizzazione dell’esistenza nella sua semplicità e quotidianità.
Che la matrice seminale per Bill Viola sia stato il nostro “Bel paese” lo si deve a diversi fattori tra cui e non deve essere dimenticato quanto l’arte italiana rimanga un punto di riferimento imprescindibile per l’arte mondiale occidentale e perché l’inizio delle sue sperimentazioni avvenne dopo 18 mesi passati a Firenze durante un progetto di ricerca del Getty. In quel periodo esplorò l’iconografia cristiana antica con particolare attenzione all’immaginario medievale, rinascimentale e manierista in un dialogo continuo con pale d’altare, polittici e dipinti votivi di artisti antichi.
Ogni artista, come dicevamo, deve fare i conti con l’arte che lo ha preceduto, deve innovare e al tempo stesso trasformare la forza iconica delle immagini che rimandano alla nostra memoria collettiva in significati nuovi. Andy Warhol ha riproposto in versione pop e moderna l’ultima cena di Leonardo da Vinci, e la stessa Monnalisa è stata ripensata infinite volte passando da Marcel Duchamp che ha sentito l’esigenza di aggiungerle i baffi.
Fino al 1800 la storia del mondo è stata raccontata grazie alle fonti scritte, dirette o indirette. A partire dal 19 secolo l’avvento della fotografia ha cambiato la narrazione dell’umanità rendendola visuale. Il XX secolo, è stato il secolo in cui il cinema, la televisione e altri strumenti visuali e digitali hanno riproposto la nostra esistenza in movimento.
Nel suo celebre video Catherine’s Room si notano cinque schermi piatti su un’unica linea in orizzontale il tutto ripetuto per quattro strisce successive. Sono schermi separati da cornici come fossero quadri. Tutti però rappresentano una stanza spoglia con il soffitto a travicelli. Compare in alto a destra una piccola finestra da cui entra la luce, poi le ore del giorno cambiano fino ad arrivare a sera. Da un pannello all’altro si nota Catherine, una donna sconosciuta, che fa yoga, cuce, studia, accende candele su una specie di altare e infine dorme nel suo letto. Sembra un polittico la ma parola giusta per identificare questa sequenza narrativa è la Pradella ed il riferimento è un’opera di Santa Caterina da Siena (1393-93) di Andrea di Bartolo. E anche se Catherine non è una santa bensì una di noi, la sua lenta ritualità sacralizza una vita quotidiana fatta di gesti semplici. .
Nel 1992 realizzerà Emergence, per ricordarci la Pietà di Masolino da Panicale del 1424 conservato ad Empoli. Nell’opera di Viola non c’è un Cristo risorto bensì un uomo sorretto dalla madre e dal San Giovanni. L’artista travalica l’iconografia classica, la supera e racconta di quanto la sofferenza sia una presenza costante nel mondo e che l’unico gesto in grado di contrastarla sia la carità e l’amore.
Bill Viola con la sua arte utilizza gli schermi ed i video come fossero pennelli. Dilata l’eternità immobile di un gesto in una storia narrante che racconta la vita e al morte di noi esseri umani.
Un mondo visivo immateriale in un universo digitale.