Parigi, giovedì pomeriggio. Whitney Peak, la star di “Gossip Girl” e “Hocus Pocus”, ha appena finito di girare la campagna di COCO MADEMOISELLE. Ora, vestita con una maglietta bianca semplice e raffinata e un paio di jeans chiari dal taglio ricercato, tutto rigorosamente CHANEL, la pelle luminosa e una cascata di splendidi ricci, la giovane attrice si sfila i biker neri e si siede a gambe incrociate sul divano. Sfodera un sorriso, lasciando trasparire un’esuberanza e una verve gioiosa che pervade ogni angolo della stanza. Il messaggio è chiaro: Whitney Peak è qui.
L’attrice è allo stesso tempo rilassata e composta, effervescente e vibrante, conviviale e serena, sebbene sia subito chiaro che l’arte di stare ferma con il corpo e con la mente, non è una sua dote naturale. Forse è “labirintico” l’aggettivo più adatto per descrivere la conversazione con Whitney Peak, una ragazza dal carattere poliedrico. Ci sono le rivelazioni leggere e fantasiose: ammette di aver imitato un critico gastronomico filmandosi mentre provava e valutava i dessert di una serie di famose pasticcerie francesi (“Potrei mangiare dolci ogni giorno per il resto della mia vita”, dice ridendo). E poi, con astuta disinvoltura, il discorso passa a questioni sociali di maggior peso: il potere e l’influenza dei social media, i diritti delle donne (“Stiamo davvero facendo un passo avanti e due indietro”) e la necessità del confrontarsi senza mezzi termini (“Se le persone non sono d’accordo con te, non importa”)… Non è certo la profondità e lo spessore che ci si aspetterebbe da una conversazione con una ventenne. Ma parliamoci chiaro: Whitney Peak non è un ventenne qualunque. Immagine della sua generazione, trasuda un potente senso di libertà. La libertà di presentarsi al mondo con chiarezza e audacia. La libertà di essere esattamente ciò che è e che sarà, con tutte le sue contraddizioni e sfumature. La libertà di essere chi vuole essere e di fare ciò che decide di fare. Un modo di vivere meravigliosamente risoluto, degno di ammirazione. Eppure riesce, nonostante tutto, a conservare intatto il fascino e la curiosità per il mondo. Per questo Whitney Peak, il nuovo volto di COCO MADEMOISELLE, è l’incarnazione odierna di una giovane Gabrielle Chanel: una donna che, all’età di 20 anni, non solo stava trasformando la narrazione dell’essere donna, ma stava già diventando la donna, l’innovatrice, l’icona che avrebbe cambiato il mondo della moda e della bellezza.
Quando inizia a raccontare dell’energia che le trasmette Gabrielle Chanel, gli occhi di Peak brillano di entusiasmo. “Dobbiamo ricordarci che è nata in un’epoca in cui le donne non avevano alcuna libertà. Eppure”, aggiunge, con un tono dolce e pieno di ammirazione, “ha trovato il modo di emergere in una società che limitava le donne; non ha mai smesso di perseverare, di lavorare sulla sua attività, di creare”. La sua voce si affievolisce, ma Peak non lascia spazio a dubbi: “Coco Chanel è fatta così: fuori dagli schemi”.
Il legame, apparentemente improbabile, tra una ragazza canadese nata e cresciuta in Uganda con sua madre e un’orfana francese che è diventata una delle icone self-made più influenti al mondo, non è subito chiaro. Tuttavia, tralasciando le caratteristiche più evidenti della vita di entrambe, si potrebbe notare un parallelismo, forse sorprendente, tra queste due donne appartenenti a due epoche, a due culture e a due generazioni diverse.
Whitney Peak descrive il passaggio dall’Uganda al Canada come “un cambiamento radicale. Ho dovuto reimparare tutto daccapo. È stata una transizione difficile per me”. E sebbene vivere in Canada sembri più compatibile con il suo desiderio di diventare un’attrice (è cresciuta guardando lo show “Raven”), non aveva nessun contatto in quel mondo, il che rendeva il suo sogno una sorta di utopia. Fino a quando ha sentito un annuncio alla radio di un casting di Disney Channel; così, senza alcuna esperienza, formazione o conoscenze nel settore, si è presentata con coraggio all’audizione. Quello spirito di audacia apparteneva anche alla stessa Gabrielle Chanel: praticamente sconosciuta e cresciuta in un orfanotrofio, è riuscita a farsi strada nella società per diventare una delle donne più influenti della storia. Il che è particolarmente sorprendente se si pensa all’omogeneità del mondo di quell’epoca. Ma Mademoiselle non ha mai avuto paura di distinguersi dalla massa.
Questa intuizione precoce della diversità e la capacità di accoglierla è uno dei molti meriti che hanno portato al successo di Gabrielle Chanel. Si dice che Mademoiselle abbia coltivato una femminilità diversa, che andava totalmente controcorrente. In un’epoca in cui le donne si vestivano con fronzoli e volant scenografici, Gabrielle Chanel ha accolto un minimalismo senza costrizioni. Gli abiti ispirati alle divise scolastiche con il colletto bianco e le pagliette sono stati alcuni dei suoi primi elementi di stile. In seguito, disse: “La gente rideva del modo in cui mi vestivo, ma è stato il segreto del mio successo. Non assomigliavo a nessun’altra”. Quando parliamo dello stile di Gabrielle Chanel, Whitney Peak si protende in avanti con un guizzo negli occhi. “Di recente ho visto una fotografia che la ritraeva insieme a Etienne Balsan, in cui sono vestiti più o meno allo stesso modo, con una camicia bianca, una cravatta e i pantaloni alla cavallerizza. E sa, anche io ho indossato un outfit quasi uguale. Ora vi mostro la foto.”, dice con una risata, mentre scorre tra le foto sul suo cellulare per poi mostrare un’immagine di lei in un outfit quasi identico, “so che può sembrare banale, ma quando l’ho vista mi sono riconosciuta totalmente in lei. Ammiro che abbia fatto quelle scelte perché era ciò che voleva. Era davvero unica. Era il suo modo di affermare la propria personalità. Quando ero piccola anche io mi sentivo così. La femminilità esasperata e gli abiti mi mettevano a disagio. Sono cresciuta indossando i vestiti di mio fratello; ero davvero un maschiaccio. Quindi è bello sapere che anche lei ha vissuto la stessa esperienza, quel senso di rifiuto per gli abiti perbene e scomodi, la voglia di essere libera di muoversi, di correre e di vivere le stesse esperienze di chiunque altro”. Il lampo di trionfo negli occhi di Peak parla più di ogni altra cosa.
La libertà di accogliere e di celebrare ciò che si è, a prescindere da dove si è arrivati nel proprio percorso, è una cosa che appassiona l’attrice. “Per citare Nina Simone, ‘La libertà per me è non avere paura’. Quando l’ho scoperta”, ricorda con enfasi, “Stavo cercando di essere qualcun altro. Ma poi ho iniziato ad ascoltare la sua musica, a guardare le sue interviste, i documentari… Il modo in cui parlava di sé stessa, il modo in cui parlava della vita, l’orgoglio di essere quella che era, della sua cultura, del paese da cui proveniva… Amo la sua voglia di ribellione e la sento molto vicina”.
Ma c’è una donna che le è ancora più vicina e a cui probabilmente tiene molto più che a Nina Simone: sua madre. “Mi ha cresciuta con dei principi molto saldi e con un senso di identità molto forte, per cui non sento il bisogno di essere accettata, di piacere o di essere considerata, sa cosa intendo? Mi ha sempre detto di essere me stessa”.
Parte di questo potente percorso di consapevolezza di sé l’ha portata ad andare via di casa e lasciare il Canada nel 2020, quando si è trasferita a New York. Questo è stato un autentico punto di svolta per lei. “Negli ultimi due anni, vivendo da sola, ho avuto il tempo di riflettere. Da sola, nel mio spazio, mi sono accorta di non essermi mai sentita così a casa. Non c’era più la paura di provare cose nuove, di deludere gli altri, di recitare o di essere qualcun altro. Per la prima volta nella mia vita, non mi sentivo soffocare dalle aspettative”.
Mettere da parte le aspettative altrui per seguire il proprio percorso rientra in quella che Peak considera self-care. “Per me, prendersi cura di sé non significa stare a casa, farsi una maschera e guardare un film. Quello lo faccio in ogni caso”, ammette, ridendo. “Prendermi cura di me significa fare tutto ciò che mi stimola, tutto quello che mi fa tirare fuori la versione migliore, più autentica di me stessa”.
Il che, dice, riguarda anche il suo profumo. “Anche quando indosso il profumo, lo faccio per prendermi cura di me”. La conversazione si sposta in modo naturale su cosa significa essere il nuovo volto di COCO MADEMOISELLE. Peak ci tiene a precisare che si è avvicinata al profumo spontaneamente. Il legame speciale che è nato con COCO MADEMOISELLE, spiega, si è sviluppato molto dal suo primo incontro con la fragranza. “Ho costruito un legame con COCO MADEMOISELLE che supera ogni mia esperienza precedente con il profumo. Non capita spesso di scoprire come viene creato il profumo che si indossa. Lo indosso e penso ‘Sì, sono io’”. E il modo in cui Peak indossa la fragranza è a dir poco rituale. “Quando esco dalla doccia, applico la crema, l’olio, indosso il profumo e lo vaporizzo anche sui vestiti e sui capelli. Senza, mi sento incompleta”. Il senso di “completezza” è fondamentale per il modo in cui Peak vive ed esiste nel mondo. “Quando mi sento completa, posso dare tutta me stessa. Posso essere molto vulnerabile, oppure aperta e accogliente. Per uscire di casa e dedicarsi agli altri, penso sia importante sentirsi sempre davvero completi. Il mio profumo è ciò che mi rende davvero completa”.
COCO MADEMOISELLE è una fragranza intensa e delicata, giovane e audace, seducente senza essere provocante, moderna eppure classica… Il ritratto perfetto di Whitney Peak, che, come la fragranza, veste con disinvoltura splendidi paradossi. “Adoro essere imprevedibile”, dichiara. “Sì, sul lavoro amo l’organizzazione, ma in tutto il resto, anche nel modo in cui mi vesto nel quotidiano, cerco l’inaspettato. Per questo amo COCO MADEMOISELLE. Non lascia troppo…” si interrompe, persa nei suoi pensieri, cercando le parole giuste. Questo forse conferma ciò che intendeva Olivier Polge, Parfumeur Créateur della Maison CHANEL, quando ha descritto il profumo come “una combinazione interessante che è semplicemente difficile da descrivere. In CHANEL parliamo sempre di un livello di astrazione dei nostri profumi”. Per COCO MADEMOISELLE, il Parfumeur Créateur cita note boschive, ambrate, note di fava tonka e, naturalmente, il patchouli. Però, chi si aspetta il patchouli classico e onnipresente rimarrà sorpreso. Questo non è il patchouli che conosciamo. Si tratta di una qualità di patchouli molto specifica, rinnovata, frazionata e raffinata, che sulla pelle rivela soltanto il suo cuore vibrante.
Il che ci riporta al pensiero di Polge sul concetto di astrazione: se ci si concentra troppo sulle materie prime per descrivere COCO MADEMOISELLE, si rischia di perdere di vista il punto della questione. “Sì”, concorda Polge, annuendo, “non possiamo fermarci alla forma”. Per spiegare ciò che intende racconta un aneddoto: “Mi piace sempre raccontare ciò che Gabrielle Chanel disse a Ernest Beaux durante la creazione di N°5. Mademoiselle desiderava un profumo “artificiale”. Il che non significa sintetico, ma piuttosto non riconducibile a una materia prima specifica. Gabrielle Chanel lo paragonò al suo lavoro di stilista: creare abiti, scolpire le forme, combinare i tessuti… Desiderava che il Parfumeur lavorasse con la stessa mentalità. Per questo in CHANEL abbiamo sempre creato profumi composti come un abito per completare l’allure”.
Dopo una lunga pausa, Whitney Peak, che potrebbe incarnare alla perfezione questa complessità, esprime un’idea che non si discosta molto da quella di Polge. Forse perché, proprio come la stessa Gabrielle Chanel, ridurre la fragranza a una sola nota sarebbe improprio e francamente impossibile. “Ha un che di mistico, di misterioso”, dice Peak in modo sognante parlando di COCO MADEMOISELLE. “Non descrive un’immagine precisa o completa. Lascia spazio all’immaginazione, perché le donne siano libere di indossare la fragranza a seconda della propria individualità e del modo in cui vogliono esprimere la propria personalità. Quando indossi il profumo giusto, ti senti sicura di te. Possiede una splendida dualità”, spiega. Detto questo, Whitney Peak crede che il profumo, così come ogni creazione di Gabrielle Chanel, parli da solo. Riferendosi al proprio lavoro, sia nel suo ruolo di attrice che nell’utilizzo della sua piattaforma per rappresentare la sua generazione, afferma che “non serve parlare di sé per convincere le persone a sostenerti… penso che il lavoro dovrebbe parlare da sé”.
Tuttavia Peak riconosce l’importanza di avere una forte rete di supporto. “Trasferirsi a New York a 17 anni, lavorare in uno show come “Gossip Girl” – che porta sullo schermo uno stile di vita privilegiato – ed essere esposti a così tante situazioni ed esperienze diverse… il rischio di perdersi è altissimo, a Hollywood”. Quando parla di “circondarsi di persone che arricchiscono la tua anima”, si riferisce alla sua famiglia e anche alla sua “piccola famiglia newyorchese”, composta dai suoi amici del liceo e dalle personalità creative che l’hanno aiutata a “coltivare ampiamente i miei interessi, dalla letteratura al cinema francese”. La cerchia degli amici di Gabrielle Chanel era costellata di poeti, musicisti, artisti e attrici, come Misia Sert, Igor Stravinsky, Jean Cocteau, Sergej Djagilev e persino Picasso. “Era più brava di me a fare network”, scherza Peak. “Però”, aggiunge più seriamente, “ammiro il fatto che dedicasse tanto tempo alla socialità, che facesse rete e che gestisse tutte le relazioni e gli incontri in modo molto intelligente”.
Peak è consapevole delle sfide poste dall’era digitale per la creazione di legami profondi e importanti. D’altra parte, “hai accesso a quasi qualsiasi cosa immediatamente e in ogni momento. Ormai gli incontri autentici non esistono più perché se sei interessato a qualcuno ti basta cercarlo online”. Uno dei lati positivi, però, è che la digitalizzazione “ha dato accesso a moltissime informazioni ed è anche diventata una fonte di formazione e di conoscenza su temi di cui altrimenti non avremmo sentito parlare. Sta a ognuno di noi decidere se confrontarsi con altre persone online. Non si è sempre d’accordo con tutti, è inevitabile. Ma è questo il bello delle conversazioni e dei confronti. Si può semplicemente riconoscere di non essere d’accordo e di avere opinioni diverse”.
Come è lecito supporre, Peak non ha paura di parlare apertamente di temi complessi, che siano le questioni di genere o di giustizie sociali. Ma, spiega Peak, quasi perplessa all’idea, non si tratta di una strategia. “Non ci penso”, spiega con sincerità, “mi limito a esistere e a vivere la mia verità, a condividere i miei valori. Penso che a volte, per quanto si possa parlare e dar voce a certi temi, è più importante agire e lasciare che le azioni parlino da sé. Non cerco mai di mostrare deliberatamente una determinata versione di me. Spero solo che esprimere qualcosa in cui credo permetta anche a qualcun altro di ritrovarsi nel mio pensiero. Questa generazione, la mia generazione, cerca solo di fare del proprio meglio per contribuire al progresso”.
All’inizio di questo viaggio che segna un nuovo, importante capitolo della sua vita, Peak è entusiasta e non lascia che nulla intacchi il suo ottimismo. “Se ti ostini a cercare il lato negativo di ogni cosa, finirai per trovarlo, quindi bisogna solo mettersi in gioco. Voglio dire, ammettiamolo,” dice, raggiante, parlando del suo nuovo ruolo, “non è certo qualcosa che capita tutti i giorni”. E così, continua a lasciarsi ispirare dall’eredità di Gabrielle Chanel. Riflettendo su ciò che vorrebbe fosse la sua eredità, Peak fa trasparire ancora una volta il suo spirito scherzoso. “Non sarebbe divertente se di me in futuro si dicesse che avevo un buon profumo?” E poi, come per magia, Peak esprime quel concetto di dualità che ha usato per descrivere il profumo COCO MADEMOISELLE: si prende un momento per stare ferma nei suoi pensieri e poi risponde con una splendida sincerità. “In realtà è molto semplice: spero che di me si pensi che non ho mai voluto essere nient’altro che me stessa”. Proprio come Coco.