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Lo swing fu galeotto. Così come la passione per il golf. Nasce da lì, nel 1995, la leggenda dei Jeckerson, pantaloni usciti dalle menti di Alessandro e Carlo Chionna abituali frequentatori dei green che per asciugarsi le mani prima del colpo le passavano su quelle toppe in alcantara posizionate sulle cosce. A diventare il tratto distintivo del marchio il passo fu brevissimo e nell’immaginario collettivo quel pantalone e quella toppa andavano insieme come un grande logo inconfondibile. Un successo tale al punto che Jeckerson sfornava, ai tempi, oltre un milione di paia di pantaloni all’anno. Da allora, di acqua ne è passata parecchia sotto i ponti e le vicende alterne del brand, che lo hanno anche visto toccare il fondo, hanno virato verso orizzonti ben diversi, colorati di rosa. Lo racconta a Posh Mauro Ravizza Krieger, il direttore creativo che ha in mano le redini della rinascita del brand insieme a Marco Colacicco (presidente del Cda di Mittel, holding di investimenti industriali quotata alla Borsa di Milano) e che già precedentemente si era ritrovato nel ruolo di stilista di Jeckerson. Lo incontriamo nel bel mezzo di uno shooting per la collezione invernale, “la parte più divertente del lavoro”, ci dice sorridendo. “È il momento in cui capisci al meglio ciò che hai fatto e come dargli una veste, un’attitudine, è una questione di percezione che devi trasmettere in una fotografia”.

 

L’immagine può determinare una svolta?

“Senza dubbio. S’è deciso che il prodotto sarà raccontato e interpretato da diversi fotografi, capaci di catturare e raccontare un’immagine del brand, nuova e sofisticata. All’insegna della contaminazione culturale, che è da sempre nel Dna del brand. Un’iconografia capace di esplorare ambiti come l’arte, l’architettura, il cinema e la musica per far vivere differenti vite al capo più essenziale nel guardaroba: il pantalone”.

La comunicazione in questo mestiere, è l’anima.

“Esatto, perché deve parlare il marchio, bisogna farlo circolare. Ho avuto la fortuna di seguire Jeckerson subito dopo l’uscita dei fratelli Chionna. Una cosa divertente è che a Franco Stocchi, co-fondatore con i Chionna e primo produttore dei pantaloni, proprietario di allora e proprietario oggi attraverso Mittel, dissi di no per un paio di volte perché non avrei saputo cosa inventare per un pantalone con la toppa. E invece, eccomi qui”.

L’origine del tutto?

“La partenza a Bologna. Già negli anni ’90-2000, con un approccio avanguardista, Jeckerson si aprì ai primi veri e propri progetti di collezione a 360°, con l’obiettivo di creare dei total look e di generare un universo valoriale e stilistico: un mondo all’interno del quale il consumatore potesse riconoscersi. Fu allora che nacquero contaminazioni culturali, esperienze immersive e collaborazioni, termini oggi di grande attualità, ma fuori dall’ordinario per l’epoca. Questo approccio trasversale portò a collaborazioni importanti come quelle con lo stilista Stephan Janson, con i musicisti del Blue Note e con il team Ducati per il MotoGP”.

Parlando della collezione?

“Nessuna nostalgia, ma un progetto basato sul rilancio di una collezione uomo e il lancio di una nuova collezione donna, puntando su una strategia sostenibile. Per la linea uomo, abbiamo introdotto 12 modelli e alcune nuove vestibilità, come la slim, regular e rilassate. Proponiamo solo pantaloni Made in Italy con il 55% di cotone tinto in capo e il restante 45% di denim. Per la stagione A/I 23-24 il tema principale è Italian-Craft, concetto che esprime al meglio la ricerca di forme, volumi, tessuti e lavaggi, declinato attraverso diverse linee di pantaloni: Timeless che racchiude le proposte di modelli classici del brand, Iconic che racconta le origini, Rince che mostra un fit più contemporaneo e sostenibile con i modelli eco disponibili in collezione”.

 

Il denim, per Jeckerson, potrebbe essere definito una novità?

“In un certo senso sì. Includiamo una selezione di capi in denim grezzo per sottolineare il ruolo chiave che ogni cliente può svolgere nel personalizzare e differenziare ogni capo semplicemente indossandolo. Siamo partiti dal denim blu scuro, non lavato, non trattato. Scelta voluta perché nel tempo quel Jeckerson è solo tuo, si scolorisce, prende un vissuto che non può essere di nessun altro, si consuma secondo l’uso personale”.

Sostenibilità è una parola che fa parte del vostro rilancio?

“Assolutamente sì. Lavoriamo su due livelli, uno più corporate con un percorso che attraversa fasi intermedie e uno di sostanza per incidere nella produzione. Parliamo di denim e cotoni certificati, riciclati, lavati con lavaggi particolari con riduzione dell’impatto dell’acqua con prodotti chimici. In più abbiamo utilizzato bottoni e rivetti dall’aspetto estetico assolutamente uguale a quelli normali, ma che si possono svitare in modo che il pantalone sia completamente compostato togliendo le parti metalliche. Anche il packaging è studiato con materiali riciclati. Ma la sostenibilità non può essere solo un escamotage di comunicazione e marketing come si usa fare ora. La nostra prospettiva futura è quella di far sì che tutela dell’ambiente sia parte integrante del prodotto. Le fasce di consumatori più giovani hanno senz’altro una attenzione maggiore per questi temi. Sono messaggi di forma e di linguaggio”.

Lei è stato definito sia stilista sia sarto. C’è un ruolo che preferisce o le due figure si intersecano?

“Ho avuto la fortuna di lavorare con aziende prestigiose di alta sartoria e del lusso con le quali mi sono contaminato sia nel mondo del denim sia dello sportswear. Grandi nomi che sono nello stesso segmento di Jeckerson e parlano lo stesso linguaggio. Ho iniziato quando d’estate, nelle pause universitarie, andavo a Savile Road a tagliare le varie parti per i capi su misura. E certe esperienze ti rimangono dentro. Oggi il nostro lavoro è cambiato tantissimo. È un insieme di cose. In principio si lavorava solo sul prodotto, oggi c’è la ricerca, l’immagine, la fotografia, la comunicazione. È molto più divertente adesso con una evoluzione continua e straordinaria. Il lavoro è molto più completo perché lo puoi vedere per intero, in ogni sua fase. Una volta per un bel prodotto c’era la ricerca estrema della qualità, oggi si porta avanti una vera propria filosofia”.