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Alla Galleria 10 & Zero Uno di Venezia The Safety game, una personale dell’artista visiva statunitense Baseera Khan, famosa per utilizzare materiale, forma e colore per esprimere concetti non verbali nella scultura, nelle installazioni, nella pittura, nelle performance e nella fotografia. Il lavoro dell’artista texana residente a New York affronta le circostanze politiche della sua identità di musulmana queer e “di femminista e di indiano-afghano”. La mostra riprende idealmente in dialogo con i temi proposti da Adriano Pedrosa per la 60° Esposizione Internazionale d’Arte: sentirsi “stranieri ovunque”.

Una decostruzione dello sguardo dominante e una continua ridefinizione dell’identità; si tratta certamente di una sensazione sperimentata dal suo essere artista queer, musulmana e di origini indo-afgane, tuttavia per nulla estranea a un’ampia fascia di popolazione. Baseera Khan nelle sue opere rivela il suo eclettismo con una serie di lavori che attraversano più mezzi artistici e visuali, compresa un’opera scultorea creata ad hoc che interroga la relazione tra desiderio e commercio ed è stata realizzata con il prezioso aiuto del maestro vetraio Marco Giuman.

The Safety game ha un significato molto attuale perché affronta la dicotomia tra sicurezza e libertà che interessa sia gli individui che i territori. Ambiti che si riflettono l’un l’altro nel video proiettato in galleria proprio negli stessi giorni in cui Julian Assange si è dichiarato colpevole per la pubblicazione di documenti di Stato americano riservati, evitando così l’estradizione e la galera negli Stati Uniti.

Va in scena così una ribellione silenziosa i cui veri protagonisti sono gli oggetti in quanto metafore dei nostri corpi o piuttosto come corpi essi stessi: “io sono un corpo” è l’autodichiarazione di uno dei suoi tappeti per preghiera, così Khan esplora spazi liminali tra umano ed extra-umano e allude alla complessa storia del linguaggio materiale che rivela apporti da culture differenti. In The Safety game  è presente anche una serie di dipinti monocromi su tavola ritraggono con una pittura corposa oggetti contemporanei e utensili conservati in importanti musei occidentali, quasi fossero pietre divinatorie in una rielaborazione di tradizioni meditative. E il concetto di “sicurezza” si applica alla considerazione dell’artista americana che i musei sono istituzioni chiave nel “gioco della sicurezza”, custodiscono il patrimonio esercitando il controllo sul sapere, sono i “nostri specchi colossali”.

Questa riflessione viene ulteriormente esplorata nell’opera Acoustic Sound Blanket, dove una coperta fonoassorbente con un decoro orientale dorato riecheggia il tema della protezione e le dinamiche di inclusione ed esclusione.

Tent Square Pink è parte di una serie di fotografie in dialogo con le collezioni islamiche del Brooklyn Museum, un tappeto per preghiera iraniano risalente al diciassettesimo secolo cela l’identità dell’artista nella forma di una tenda, rivendicando la funzione intima e domestica del manufatto e la necessità di riconoscere i residui del colonialismo e cambiare le regole del gioco.