K-everything: come la cultura coreana ci ha travolto con la sua onda.
Dal cinema alla musica K-pop: la hallyu è molto più di un interesse di nicchia, ma un vero e proprio fenomeno pop globale.
Nell’autunno del 2021 la serie TV coreana Squid Game aveva incollato allo schermo più di 111 milioni di spettatori in tutto il mondo dopo soli 28 giorni dal suo debutto su Netflix. Improvvisamente sui social tutti volevano sapere cosa fosse il dalgona, il dolce a base di zucchero e bicarbonato protagonista di una delle sfide più iconiche dello show, o come si cucinassero gli tteokbokki, i deliziosi gnocchi di riso coreani mangiati dal protagonista della serie.
Dalla cucina ai prodotti skincare, passando per trend come la “Glass Skin” delle influencer coreane, per arrivare all’irresistibile fascino della musica K-pop, la Corea del Sud ci ha ammaliati andando al di là del semplice interesse di nicchia, ma risultando sempre di più in un fenomeno globale. Ed è proprio la potente industria cinematografica a trainare la Hallyu, letteralmente onda coreana,neologismo che celebra la Corea come una nuova figura di spicco della cultura pop in Asia e nel mondo.
Il boom cinematografico in Corea del Sud è avvenuto alla fine degli anni Novanta e, per ironia della sorte, in uno dei periodi economici più bui per il Paese: la crisi finanziaria asiatica del 1997 aveva spazzato via i decenni di rapido sviluppo che dagli anni Sessanta avevano annoverato la Corea del Sud tra le “tigri asiatiche” a fianco di Singapore, Taiwan e Hong Kong. È proprio nel periodo di lenta ripresa economica che l’industria del cinema cresce considerevolmente e inizia a sfornare film di qualità.
Non è facile individuare quale evento abbia innescato la crescita della popolarità globale della Corea del Sud. Un improbabile detonatore potrebbe essere stato Gangnam Style, il brano del 2012 del rapper Psy, diventato il primo video di YouTube a essere visualizzato un miliardo di volte. Ma già prima della viralità online del rapper di Seoul, nel 2003 il regista Park Chan-wook ci aveva dato un assaggio del fascino travolgente e alle volte ipnotico dei drama coreani con Oldboy, thriller che racconta la storia di un uomo rapito e imprigionato in una stanza di albergo per 15 anni senza spiegazione. Primo film coreano a vincere il Grand Prix della giuria al festival di Cannes del 2004, l’opera di Park ha ispirato gran parte della corrente cinematografica coreana di oggi, ma anche diversi registi internazionali, tra cui lo stesso Quentin Tarantino.
La svolta nel cinema coreano è arrivata nel 2020, quando il film Parasite di Bong Joon-ho non solo ha ottenuto la Palma D’oro al festival di Cannes ma si è aggiudicato anche l’Oscar come miglior film, premio mai assegnato fino ad allora ad un lungometraggio non in lingua inglese.
Bong Joon-ho all’epoca non era un nome nuovo per appassionati di cinema, avendo già diretto opere come Snowpiercer e Okja, accolte con grandissimo favore dal pubblico occidentale. È stato comunque Parasite – un racconto incentrato sulla dicotomia tra la classe proletaria e la emergente classe media coreana – il film che ha consacrato il suo talento al livello internazionale.
Le storie di fallimenti, povertà, tormenti esistenziali e temi universali come l’isolamento sociale e l’ingiustizia sono particolarmente frequenti nel cinema e nelle serie tv coreane, e questo piace, fa riflettere e, alle volte, lascia con il fiato sospeso. Quattro anni fa ai Golden Globes proprio il regista di Parasite aveva predetto: “Una volta superata la barriera dei sottotitoli, agli Oscar verranno presentati molti altri film straordinari”. La barriera è stata superata da tempo, e il pubblico internazionale è ormai accattivato dal K-drama, perché diciamocelo, la trama quasi sempre avvincente.
Ma che cosa ha reso la Corea così cool? Dopo il cinema e la televisione, naturalmente è stata la musica a farsi largo nel panorama internazionale. Dai BTS fino al rapper G-Dragon, il K-pop non è soltanto musica, ma un’icona di stile che ha fatto innamorare i fan provenienti da ogni angolo del mondo. Non a caso le principali Maison della moda internazionale ultimamente hanno ricercato i propri Ambassadors tra le stelle nascenti del K-pop: Dior ha scelto il cantante membro dei BTS Jimin per la campagna Spring 2024, mentre Gucci ha optato Hanni, leader del gruppo NewJeans, come Global Brand Ambassador nel 2023.
La coolness coreana è dovuta da diversi fattori, inclusi la qualità dei prodotti culturali che sforna e diffonde: dalle coreografie impeccabili dei gruppi K-pop, alla fotografia mozzafiato dei thriller coreani che ci tengono incollati allo schermo con storie pazzesche e piene di colpi di scena. Di rimbalzo tutto questo ci porta a indagare con curiosità sui diversi aspetti della cultura coreana: dalle miracolose proprietà nutritive del kimchi, il delizioso cavolo fermentato coreano, al segreto della pelle perfetta ottenuta con numerosi step di skincare, caratteristici della routine di bellezza coreana.
In sintesi, la combinazione di una strategia governativa ben orchestrata, la qualità e l’innovazione dei contenuti, l’uso efficace dei social media e la capacità di trattare temi universali in modo coinvolgente ha permesso alla cultura pop sudcoreana di affermarsi a livello globale.