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«La sequenza “679” riflette un ottimismo generazionale, allineandosi al loro obiettivo di essere una “colonna sonora per una rivoluzione pacifica”».

Con il loro album di debutto “Love 679”, Dov’è Liana riscrive le regole del gioco: un mix esplo- sivo di house, pop e rock che trasforma ogni traccia in un inno alla gioia e all’amore. Tra in- fluenze che vanno dai Daft Punk ai Beatles, Do- v’è Liana racconta come l’energia di Palermo abbia ispirato la loro musica e il loro approccio a un sound senza confini. Dai party sudati sotto il cielo siciliano ai live infuocati in tutta Europa, il loro obiettivo è chiaro: creare uno spazio dove tutti possano sentirsi liberi di essere se stessi,senza giudizio. Con il loro stile riconoscibile – foulard che nascondono i volti e trasformano ogni live in un’esperienza collettiva – e un’anima divisa tra introspezione e festa, Dov’è Liana sta costruendo qualcosa di più grande di un sem- plice progetto musicale. È una vibrazione, una community, una dichiarazione d’amore per la libertà e l’inclusività.

“Love 679” è un titolo intrigante, con un significato che va oltre la semplice sequenza numerica. Come è nata l’idea di utilizzare l’assenza dell’8 per rappresentare un messaggio di amore e gioia?

Il titolo dell’album simboleggia l’omissione dell’8 (foneticamente simile a “hate”), sostituendo la negatività con temi di amore e gioia. La sequenza “679” riflette un ottimismo generazionale, allineandosi al loro obiettivo di essere una “colonna sonora per una rivoluzione pacifica”.

La vostra musica sembra essere un mix di generi diversi, tra cui house, pop e rock. Quali sono state le influenze principali che vi hanno guidato nella creazione del sound unico di “Love 679”?

Per questo album abbiamo voluto creare la musica che abbiamo sempre voluto ascoltare, soprattutto in serata. Abbiamo pensato che l’house e il french touch siano i sound dei party contemporanei, sound ballati da tutti. Poi ci aggiungiamo melodie forti, musica che si può cantare insieme a squarciagola e che deriva dalla grande influenza che i classici del rock rappresentano per noi. Per quanto riguarda la parte house, le nostre influenze sono principalmente Daft Punk, Emmanuelle e, per quanto riguarda la parte rock, soprattutto i Beatles e i Pink Floyd.

Il vostro legame con l’Italia, e in particolare con Palermo, è centrale nella vostra storia. Qual è il ruolo che questa città e la cultura italiana hanno avuto nel definire la vostra identità musicale?

La stessa estate in cui abbiamo deciso di creare la band per realizzare la musica che sognavamo di sentire e che non riuscivamo a trovare su Spotify, siamo stati invitati a trascorrere l’estate a casa della sorella di uno di noi che vive a Palermo. Tornando da lì, ci siamo detti che era l’energia di quelle feste che volevamo celebrare ed esportare in tutto il mondo. Un anno dopo l’uscita del nostro singolo Perché Piangi Palermo, siamo stati chiamati per suonare alla Vucciria. Ci torniamo ogni estate per suonare come in lineup nei festival dei luoghi di cui ci siamo innamorati quella prima estate, e ne siamo molto orgogliosi.

Giacca smoking, camicia e pantaloni Brioni, stivale Santoni, foulard in seta Tagliatore, occhiali Boss. Camicia, pantalone Brioni, mocassino Santoni, foulard in seta Tagliatore, occhiali Marc Jacobs. Giacca, maglione girocollo, pantaloni Brioni, stivale Santoni, foulard in seta Tagliatore, occhiali IN inspired by Sting.

Qual è stata il primo approccio che avete avuto con la musica internazionale?

Essendo cresciuti in Francia, siamo stati esposti a una miscela di influenze globali, dal rock alla musica elettronica. La nostra esplorazione musicale è iniziata in modo molto spontaneo, creando sound che riflettono le nostre esperienze comuni e l’ambiente culturale circostante. Più di ogni altra cosa, il fatto di non provenire dal mondo della musica rende le nostre sperimentazioni musicali così libere e istintive.

Perché Piangi Palermo è stato il vostro primo successo, nato in modo spontaneo. Qual è il ricordo più vivido che avete della creazione e del lancio di quel brano?

Sicuramente il pomeriggio in cui abbiamo creato la canzone, è stato tutto molto veloce e intuitivo. Abbiamo realizzato la canzone in 4 ore e la maggior parte del tempo l’abbiamo passata a capire come funzionasse Garage Band. La canzone ha una linea di batteria, una linea di basso, una melodia di synth, un vocoder e una voce, sono solo 5 strati e il giorno dopo era sulle piattaforme di streaming. Quel pomeriggio è stato un grande momento e abbiamo continuato a creare e a ballare insieme mentre il brano prendeva forma.

Alcune delle vostre tracce sono in italiano, altre in inglese. Come decidete quale lingua utilizzare per una determinata canzone?

In generale dipende molto dal luogo in cui ci troviamo durante la scrittura. Metà dell’album è stata composta nel caldo della Sicilia e durante il nostro tour in Italia, mentre la metà inglese è stata generalmente pensata nel comfort del nostro studio di Parigi. Penso che rappresenti bene le due sfaccettature che ci appassionano molto in questa professione che stiamo scoprendo.

Il vostro debutto discografico è stato accompagnato da un’intensa attività live, con concerti sold-out in tutta Europa. Qual è stato il momento più memorabile?

Il nostro primo concerto in assoluto. Siamo stati contattati da due ragazzi di Milano, anche se avevamo pubblicato solo quattro canzoni e non ci eravamo mai esibiti dal vivo; abbiamo accettato la loro proposta di suonare alle 2 di notte davanti a 500 persone. Non avevamo esperienza di palcoscenico e non avevamo mai preparato alcun set dal vivo: abbiamo lavorato per una settimana al set, senza sapere se qualcuno si sarebbe presentato. Alla fine, nonostante il forte stress, siamo riusciti a salire sul palco: il locale era completamente pieno e il pubblico conosceva a memoria tutte le nostre canzoni. È stata una sensazione assolutamente surreale, non ringrazieremo mai abbastanza queste persone.

Durante i vostri live create atmosfere di totale libertà e celebrazione. Come riuscite a instaurare quel senso di connessione con il pubblico?

Innanzitutto noi amiamo le feste, amiamo bal- lare e cantare insieme, credo che questo traspa- ia dal nostro atteggiamento durante gli show. La gente ci guarda e riproduce quello che facciamo e ci divertiamo così tanto che anche gli altri si divertono. In secondo luogo, non ci facciamo ve- dere perché pensiamo che la nostra musica sia ciò che è davvero degno di interesse, e quando ci si concentra sulla musica, si vuole solo ballare. In terzo luogo, abbiamo deciso di nasconderci indossando i foulard perché ci sembrava un bel modo di farlo; a poco a poco, abbiamo visto una percentuale di persone che venivano ai nostri show indossando i foulard come noi, ed è diventata sempre più significativa. Credo che contribuisca a creare un momento unico, a far sì che tutti si sentano uguali e si divertano insieme, senza alcun giudizio.

Nei vostri brani si sente un forte desiderio di superare gli stereotipi e abbattere le barriere, sia musicalmente sia esteticamente. Quanto è importante per voi trasmettere un messaggio di inclusività?

Credo che il progetto sia nato dalla frustrazione di trovare solo feste noiose a Parigi e dal desiderio di offrire qualcosa di più folle, dove si possano davvero cantare a squarciagola insieme ai propri amici inni che parlano d’amore e creare un’atmosfera in cui ci si senta sicuri della propria capacità di sentirsi completamente liberi. Non possiamo ovviamente gestire tutto, ma cerchiamo di creare il più possibile questo clima di benevolenza che ti fa venire voglia di lasciarti andare senza doverti preoccupare di essere disturbato… “Tutti sono sulla lista”, come si suol dire!

Giacca, pantalone, dolce vita e foulard in seta Loro Piana, mocassino Santoni, occhiali Boss. Bomber, pantalone, maglione girocollo e loafer Loro Piana, foulard in seta Franco Ferrari, occhiali da sole Gentle Monster. Blouson, camicia, pantalone e loafer Loro Piana, foulard in seta Franco Ferrari, occhiali Celine.

Postcards from the Universe e La nuit des étoiles filantes mostrano un lato più introspettivo e nostalgico del vostro sound. Come trovate l’equilibrio tra i momenti di festa e quelli più riflessivi nella vostra musica?

Festeggiamento e tenerezza, per noi era importante catturare questa dualità nel nostro album. Proprio come nei nostri concerti, c’è un’atmosfera di grande benessere contrapposta ad ambienti freddi e underground, le location in cui suoniamo abitualmente. Questo ci porta a essere naturalmente orientati verso la fusione di estetiche contrastanti.

Avete dichiarato che il vostro obiettivo è creare un “nuovo spazio” per la vostra generazione. Cosa sperate che il pubblico porti con sé dopo aver ascoltato “Love 679”?

Il sentimento che volevamo esprimere con l’album è che la nostra è una generazione incredibile, che lotta duramente per buone cause come i diritti umani, di genere, delle minoranze e l’inclusività. Capita spesso di sentire l’affermazione “Era meglio prima”: noi non siamo del tutto d’accordo e saremmo davvero felici se le persone potessero trarre coraggio, gioia e amore dal nostro album. Lo abbiamo immaginato come la colonna sonora della gioiosa rivoluzione della nostra generazione.

Cosa potete anticiparci sui vostri progetti futuri? Dopo il “679 Winter Tour”, avete in programma nuovi singoli, collaborazioni o esperimenti musicali?

Vogliamo sicuramente sottolineare l’aspetto live del nostro progetto, che è il cuore di Dov’è Liana. Ci piacerebbe creare più contenuti dal vivo, in modo che le persone possano cogliere appieno l’essenza dinamica e viva della band.

Social media o live? Qual è il modo migliore secondo voi per far veicolare la musica emergente?

Il modo migliore è fare musica che la gente si diverta ad ascoltare. Abbiamo visto molti artisti che apprezziamo personalmente emergere grazie ai social media, che possono essere sicuramente un buon trampolino di lancio. Per noi il live è il mezzo sicuramente più adatto al nostro messaggio e alla nostra energia: riteniamo che sia molto più coinvolgente, anche se i social media hanno un raggio d’azione molto ampio anche a livello virtuale.

Giacca, maglione girocollo, pantaloni Brioni. StivaleSantoni, Foulard in seta Tagliatore, Occhiali IN inspired by Sting. Camicia e pantalone Brioni, Mocassino Santoni, Foulard in seta Tagliatore, Occhiali Marc Jacobs. Giacca, camicia e pantaloni Brioni, Stivale Santoni, Foulard in seta Tagliatore, Occhiali Lozza.

Avete uno stile impeccabile che vi differenzia molto da altri artisti. Quanto conta il legame tra moda e musica per voi?

Non so se abbiamo uno stile impeccabile, ma è molto gentile, grazie. Quello che abbiamo trovato più impressionante è stato vedere come noi indossiamo i foulard per nascondere il viso e in memoria delle nostre nonne, ma che ora anche metà del pubblico li indossa ai nostri concerti!

Vi piacerebbe un giorno trasferirvi in Italia?

Ma certo! Ci abbiamo pensato molto e magari succederà presto.

Qual è la vostra icona di stile, sia musicalmente che nella vita?

David Bowie.

Giacca Tod’s, foulard in seta Edoardo Gallorini, occhiali IN inspired by Sting.

«INDOSSARE IL FOULARD CONTRIBUISCE MOLTO ALL’ENERGIA SPECIALE CHE SI CREA AI NOSTRI LIVE: NOI SIAMO ANONIMI, MA IN UN CERTO SENSO LO È ANCHE IL NOSTRO PUBBLICO.
E QUANDO SI È ANONIMI SI PUÒ BALLARE E CANTARE ANCORA PIÙ LIBERAMENTE CON TUTTI GLI ALTRI, SENZA PREOCCUPARSI DELLA PROPRIA IMMAGINE.»

 

Fotografo: Raffaele Grosso