Un Metateatro della Moda
Alessandro Michele ha trasformato la Paris Fashion Week in un metateatro, un palcoscenico in cui l’intimità viene esaminata, decostruita e messa in discussione. La collezione autunno/inverno 2025-2026 di Valentino non è solo una sfilata, ma una riflessione profonda sulla costruzione del sé e sulla natura illusoria dell’autenticità. «L’idea che possa esserci un sé autentico, immune dalle determinazioni della vita, è un inganno», scrive Michele nei suoi appunti per Le Méta-Théâtre des Intimités.
L’idea di intimità come spazio protetto viene smontata e ricostruita in questa sfilata, in cui ogni capo diventa un elemento di dialogo tra il visibile e l’invisibile, tra l’individuo e la società. Michele non si limita a proporre una collezione, ma porta in scena un discorso stratificato e complesso, in cui la moda si fa strumento filosofico per interrogare la realtà e i suoi confini.
Il Bagno come Simbolo di Autoanalisi
Il setting scelto per la sfilata non è casuale: il bagno pubblico Lavatory Madeleine, un’iconica struttura Art Nouveau nel cuore dell’8° arrondissement di Parigi. Un luogo che nella storia europea non è stato solo uno spazio funzionale, ma un ambiente di discussione e riflessione, carico di significati sociali e culturali.
Michele sfrutta questa ambientazione per sottolineare il carattere pubblico dell’intimità, dove anche il più privato dei momenti è comunque esposto agli sguardi e alle influenze esterne. Un bagno pubblico non è mai uno spazio esclusivamente personale: è condiviso, è transitorio, è un non-luogo dove identità diverse si sfiorano senza necessariamente interagire. E proprio in questa sospensione tra pubblico e privato, tra protezione e vulnerabilità, si inserisce la riflessione di Valentino sulla moda come linguaggio dell’esposizione di sé.
Moda come Riflessione Filosofica
Nei suoi riferimenti, Michele attinge da pensatori come Michel Foucault, Romano Màdera, Paul Valéry e Hannah Arendt, esplorando il concetto di sé come costruzione sociale e culturale. La sfilata diventa un viaggio perturbante che ci invita a mettere in discussione le nostre convinzioni sull’autenticità e l’intimità, presentando un’estetica che sfida le categorizzazioni tradizionali.
In un’epoca in cui la trasparenza e la condivisione continua della propria immagine sono diventate quasi un obbligo sociale, Michele ci chiede: cosa significa essere davvero autentici? Esiste un confine netto tra la nostra rappresentazione pubblica e quella privata? Oppure, come suggerisce la sfilata, ogni forma di intimità è sempre filtrata dalla performance dell’essere visti, dalla consapevolezza dello sguardo esterno?
Una Sfilata tra Angeli e Demoni
Con le note di Gods & Monsters di Lana Del Rey, i modelli hanno portato in scena il paradosso di una nudità impossibile: body di pizzo slacciati, Vans abbinate a collane di perle, tuxedo bianchi e lingerie trasparente, kimono ricamati e cravatte a scacchi. Un equilibrio tra l’apollineo e il dionisiaco, tra costruzione e decostruzione dell’immagine personale.
L’intimità non è un rifugio sicuro, ma un gioco di specchi, un palcoscenico dove la nostra identità viene costantemente rimessa in discussione. I look raccontano questa tensione attraverso accostamenti apparentemente incongrui: il seno nudo sotto una camicia trasparente, le culottes abbinate a cristalli scintillanti, i tessuti animalier mescolati con rombi colorati. Gli abiti diventano metafore della stratificazione dell’identità, dell’impossibilità di definirsi in modo univoco.
Un Invito a Riconsiderare l’Autenticità
Michele ci provoca: davvero crediamo che il bagno sia il nostro unico spazio di verità? Nell’era dell’auto-osservazione compulsiva, dove passiamo ore davanti allo specchio cercando di decifrare il nostro io, forse dovremmo accettare che ogni intimità è una rappresentazione.
La collezione Valentino FW25-26 non offre risposte, ma invita a riconsiderare il modo in cui ci vediamo e ci costruiamo. Il bagno, come luogo di riflessione e rivelazione, diventa il perfetto simbolo della nostra epoca: uno spazio di passaggio in cui il confine tra il vero sé e la sua rappresentazione si fa sempre più sfumato.
Forse, suggerisce Michele, l’autenticità non è un ideale da raggiungere, ma un processo in continuo divenire, un teatro in cui interpretiamo infinite versioni di noi stessi. La sfilata ci lascia con questa consapevolezza: anche la più profonda delle intimità è, in fin dei conti, un teatro. O meglio, un meta-teatro nel grande spettacolo dell’esistenza.