Intervista ideata e realizzata da Annie Markitanis
Proiettando tra le lenti di un sogno collettivo, Mario Cucinella, l’architetto e designer di fama internazionale e fondatore dello studio MC A-Mario Cucinella Architects ci parla di come l’architettura deve essere bella ma anche buona, del bisogno di dirci la verità sfidando dei paradigmi stabiliti come l’unico modo per rispondere all’esigenze e ai problemi correnti. Ancora ci racconta del suo approccio olistico definito da un’empatia creativa che genera un meccanismo sociale e culturale, ma anche del significato rivisitato della casa di oggi e di domani.
Annie Markitanis: Le parole “sostenibilità” e “sostenibile” hanno acquisito negli ultimi
anni connotazioni diverse a seconda dei vari ambiti. Qual è il significato di “sostenibile”
in architettura? Come si è evoluta la progettazione architettonica sostenibile e
che risposta ha avuto presso il pubblico il design sostenibile negli ultimi anni?
Mario Cucinella: La parola sostenibilità è abusata; io credo che sia invece da usare con molta parsimonia e precisione. In questo momento è anche importante parlarne perché è attuale.
L’ idea di sostenibilità infatti nasce perché viviamo in un mondo insostenibile, quindi ci
preoccupiamo di usare una parola che ci aiuti a far capire che la nostra situazione e;
drammatica. È una parola riferita all’ambiente, al mondo ecologico perché è ciò che ci tiene in piedi, la relazione con il mondo della biosfera. È un argomento trattato poco; si parla molto invece della sustainable architecture ma l’architettura non è sostenibile per principio. La parola sostenibilità è relativa alla nostra modalità di vivere in questo pianeta. La cosa bella è che essa nasce dal mondo della musica. Nel pianoforte ci sono 3 pedali; quando tu vuoi sostenere una nota più a lungo devi schiacciarne uno. E quindi viene proprio da lì—“to sustain”—è qualcosa che deve sostenere, continuare una nota, mentre per noi potrebbe essere la vita. È una parola molto importante ma, purtroppo, la vedo usare dappertutto. Anche la benzina è diventata verde, anche tutti gli edifici. In realtà non è cambiato niente ma sono diventati tutti sostenibili.
Dobbiamo fare perciò un’operazione di verità, dobbiamo dirci la verità: che abbiamo dei
problemi ma che gli edifici potrebbero sicuramente rispondere alle esigenze del momento. Il mondo dell’edilizia è molto conservatore, ma lo possiamo migliorare. Il punto è che possiamo costruire meglio, realizzando edifici che consumano sempre meno. Possiamo usare materiali che piano piano stanno diventando più interessanti perché consumano meno energia o perché li usiamo più di una volta—il tema dell’economia circolare, il tema del riciclo dei materiali, il tema dei rifiuti nel mondo dell’edilizia ecc. Non sono d’accordo quando dicono che gli edifici sono a impatto zero perché un edificio ha un impatto sociale importante; costruire gli edifici vuol dire costruire una relazione tra le persone, vuol dire costruire un luogo dove si impara, costruire un luogo della cultura che diventa un posto dove possiamo abitare meglio. Quindi, dobbiamo usare questa parola con molta cura; è un pò come usare la parola amore; non è che la puoi usare in
maniera leggera, e la dici a tutti. Io non mi nascondo dietro l’idea che costruisco edifici a zero impatto, totalmente sostenibili. Io dico che faccio un mestiere che trasforma la materia e costruisce ambienti sociali e sono già molto contento. Poi se riusciamo a farlo con più attenzione al tema dell’ambiente, quindi a ridurre l’emissione di Co2, a usare materiali più sostenibili perché vengono da processi industriali nuovi e moderni, e dove la gente vive meglio, secondo me ho già fatto molto bene il mio lavoro. Sono più preoccupato del tema dellasostenibilità quando guardo il mare pieno di plastica e quando vedo i rifiuti che bruciano diossina, quando vedo che tagliamo le foreste e non c’e’ più aria da respirare; queste cose mi preoccupano molto di più.
AM: Ironicamente, è anche un poco controproducente, quasi demotivante, dichiarare di
fare edifici a zero impatto, perché poi qual’e’ lo “spazio” sia pratico ed emotivo per
crescere, migliorare? Cosa c’è dopo lo zero impatto?
MC: Certo…
AM: Quali sono i principi di buona architettura?
MC: L’architettura non é solo ambiente ma é cultura e relazione. Ho imparato che costruire un edificio non é solo costruire il perimetro dell’edificio. Ma ha a che fare con il costruire una relazione con tutto ciò che c’é intorno. Io dico sempre che l’architettura non si sposta pero’; viaggia nella memoria, e perciò un architetto deve essere consapevole.
Il primo principio in assoluto é capire i luoghi dove costruiamo i nostri edifici. Questa é, per me, l’empatia creativa. La lettura dei dati, sapere i dati climatici, sono elementi fondanti dell’architettura, da sempre.
Il tema della qualità e della bellezza é difficile da affrontare perché é molto soggettivo, però siamo tutti in grado di riconoscere quando una cosa é fatta bene. La qualità e la precisione di costruire le cose é un atto di responsabilità; quello di un architetto é una responsabilità sociale perché costruendo lascia dei segni.
Poi c’é un aspetto anche tecnico, sapere quali sono le performance di un edificio, perché quei dati ci aiutano a costruire un’ architettura più legata a quelle condizioni climatiche e alle condizioni predeterminate di un luogo. Un edificio non deve essere solo bello ma deve essere anche buono. Deve metterti nelle condizioni di vivere bene. Io faccio fatica a vedere degli edifici tutti murati di vetro dove non si può aprire una finestra. Lavoriamo su questa idea , che l’architettura deve essere bella ma anche buona. Quando dico buona, dico anche che abbiamo fatto un nido per i bambini da zero a tre anni dove i materiali erano molto importanti perché un bambino, a questa età, non usa le mani ma la lingua per sapere dov’é. E quindi bisogna che i materiali siano buoni, amici del uomo.
Tutti questi sono principi che ti aiutano a costruire un’architettura che é più attenta ai temi ambientali e a quelli dell’energia.
AM: Per descrivere la filosofia e la metodologia di MCA, fate riferimento alle parole di
Jaime Lerner su come gli edifici possano funzionare come una sorta di “Agopuntura
Urbana” “…che crea nuova energia e rivitalizza un’ area “malata” o “sofferente” e i suoi
dintorni. Esattamente come nell’approccio medico, questo intervento innescherà un
effetto a catena positivo, aiutando a curare e migliorare l’intero sistema…” Quali sono le sfide coinvolte nell’implementazione di questo approccio?
MC: Jaime Lerner inventore del termine “Agopuntura Urbana,” che tra l’altro é morto da poco, dice che se proviamo ad immaginare, in un quartiere, magari di edilizia povera, di inserire un progetto di una scuola contemporanea, é una forma di rigenerazione perché tu, intorno a questa scuola, costruisci un ambiente sociale, una speranza. Il punto delicato é che la rigenerazione urbana non deve trasformarsi in una gentrificazione urbana, dove si costruisce a valori talmente alti che alla fine costruisci una città solo per i ricchi. Questo pero’ non é una rigenerazione urbana ma una trasformazione economica che in qualche modo distrugge quel tessuto sociale misto che invece é importante.
Non c’e’ l’ho con quelli che possono comprare la casa molto costosa, pero’abbiamo visto l’esperienze degli ultimi 40 anni, che le città che hanno fatto politiche urbane e sociali insieme, hanno ridotto molto le tensioni sociali. Da ciò è risultato un equilibrio sociale perché le persone non sono state escluse dalla crescita. Quando invece si fanno operazioni in cui si esclude una parte della società si creano condizioni sociali difficili. L’agopuntura sociale si riferisce al mettere a posto una piazza, costruire un giardino, fare una scuola, inserire degli elementi di architettura contemporanea che in qualche modo generino un meccanismo sociale e di qualità—sono progetti, persone e iniziative che si propagano nelle loro comunità per elevare la vita cittadina.
Io credo fermamente che costruire un edificio pubblico sia un modo per dire alle persone: “mi sto occupando di te.” Quando io faccio una scuola bella, non la faccio per me, la faccio per gli altri, pero’ il messaggio che passa é che io mi sto occupando di te, ti sto dando una cosa bella. Questo é un messaggio potentissimo.
AM: Agopuntura come un processo composto da tocchi gentili, un distretto intervento,
che richiede tempo, ma anche una mente e corpo aperti e fiduciosi. Un processo
sostenibile, che non cerca di intervenire adottando un approccio aggressivo, ma invece
un approccio studiato, individuale, e sopratutto sensato.
MC: Esatto. Poi l’agopuntura va a toccare un nervo. Va a toccare un dolore. Inserire le cose é un modo per guarire; non puoi curare tutto il corpo, pero’ puoi fare dei punti precisi. Nel nostro tempo, anche l’architettura sta facendo un’operazione diversa, per cui si lavora molto sull’immagine ma meno sullo studio, sulla comprensione dei fenomeni sociali, e questo é un pericolo che stiamo affrontando. C’é tanta delusione. A me quello che disturba e’che stiamo costruendo un mondo pieno di illusioni: la città felice per tutti, con i bambini che corrono, il parco bellissimo ecc. Ma, quello rischia di essere una grande frustrazione. Allora, é più interessante proporre un agopuntura per ciò che é, piuttosto che continuare a raccontare una favola, l’illusione di un mondo che non c’é. Poi alla fine rischi che il mondo dell’illusione sia più importante della realtà.
AM: Dice che la professione dell’architetto nasce per un bisogno. Quanto oggettivo e’
questo bisogno oggi?
MC: Dipende dove, perché come sai costruire é anche una grande economia; costruire produce ricchezza.Costruire e vendere sono mondi molto legati all’economia dei paesi. Ci sono dei paesi dove c’é ancora bisogno. Non conosco tutti i fenomeni europei ma in Italia abbiamo bisogno di sostituire molti edifici. Abbiamo un patrimonio edilizio degli anni 60’ e 70’ che sono un problema, un tumore. Non dico che dobbiamo costruire ancora di più, ma dobbiamo costruire sostituendo molti edifici. Penso alle scuole che non sono più adeguate per l’insegnamento, oppure agli ospedali. Abbiamo molta edilizia vecchia dove la gente si ammala. Allora, pensiamo che cambiare sia anche un modo per cambiare in meglio, per costruire meglio e per dare alla gente una possibilità di vivere meglio. L’altro tema é che, molto spesso, questo principio del costruire per il bisogno, rischi di diventare molto speculativo perché alla fine si generano molte economie.
Bisogna stare attenti. Questo é il ruolo della politica, di non trasformare la rigenerazione urbana in una gentrificazione per cui tu costruisci sempre a prezzi più alti e la gente che non può spendere la butti fuori della città perché non possono comprare la casa. Credo che ci sia bisogno di cambiare molti edifici anche perché gli obiettivi europei, che abbiamo davanti in agenda 2030, 2050, riguardano fondamentalmente il patrimonio edilizio esistente perché per quello nuovo ci sono delle leggi molto chiare e non puoi costruire male. Invece tutto il patrimonio degli anni 60’ 70’, 80’ edificato senza attenzione ai temi dell’inquinamento, delle emissioni, dell’isolamento, quel patrimonio li, anche per una nuova economia, va lentamente sostituito. Noi dobbiamo togliere e sostituire; non dobbiamo correre avanti e poi abbiamo un cimitero di edifici, vecchi e brutti che fanno parte di un panorama triste della città.
AM: Dove/Quando/Come si incontrano Lusso e Sostenibilità?
MC: Se la sostenibilità e l’ecologia sono un bene di lusso non va bene perché respiriamo tutti la stessa aria, viviamo tutti nello stesso environment; é una mistificazione che ha raccontato la storia perché si sono investiti molti denari per fare l’eco lusso. Però quella non é una risposta giusta perché ha creato l’idea che l’ecologia o la sostenibilità siano costose, e non é vero. È una cosa che deve essere molto orizzontale fatta con dei piccoli passi. Per esempio un edificio fatto un pò meglio con l’ uso di un materiale che ha meno impatto, ma non deve essere una cosa esclusiva che invece é un pò quello che é successo. Ci ha raccontato una storia per cui l’ecologia si associa al lusso, come la moda si associa solo alle cose costose, nonostante questa non sia la realtà. È stato una possibilità per raccontare una storia ma questa é solo un piccolo pezzetto della storia. Non mi piace neanche l’idea che solo quelli che hanno i soldi possano comprare una casa ecologica; é un paradosso, un messaggio legato al marketing.
Siamo sicuri che l’eco lusso é veramente ecologico? I dati non ci sono, ci sono degli esempi in cui tutti dicono che é ecologico e sostenibile ma nessuno da un dato: quanto costi, quanto consumi, quanto richieda la manutenzione. Queste cose nessuno le dice perché la verità é che se le dicono non c’e quasi nulla di sostenibile. É servita l’immagine? Si. Ha aiutato ad aprire uno scenario di dibattito? Va benissimo. Pero quello non basta, quello é solo l’inizio di un percorso. Io continuo a dire che per progredire su questo argomento bisogna avere dei dati anche se i dati non sono perfetti.
AM: Se la casa è lo spazio in cui ci attiviamo, impariamo e cresciamo il nostro rapporto
con noi stessi e il mondo in generale, qual è la filosofia che secondo te definisce le
nostre pareti domestiche? Quali sono le storie che racconterà la casa del futuro?
MC: Con la pandemia, sono cambiate tante cose negli ultimi 2 anni perché abbiamo vissuto un periodo prima del covid dove abbiamo diviso la nostra vita tra la casa—dove mangiamo, dormiamo—e poi andiamo a lavorare. Abbiamo diviso il mondo e la nostra quotidianità in segmenti. Oggi, il post covid ha posto una questione diversa cioè che possiamo anche lavorare da casa. É cambiato il modo con cui noi abitiamo la casa, e il lavoro. Abbiamo cambiato l’idea che forse il mondo lavorativo non é più quello di una volta in cui bisognava timbrare un biglietto, stare 8 ore, e tornare a casa. É diventato un mondo più ibrido. É migliorata quest’idea che la casa come il mondo del lavoro non sono segmenti chiusi ma sono delle parti aperte. La domanda é che abbiamo costruito case intorno a questa idea—che a casa vado a dormire, a mangiare, e a lavorare vado altrove. Oggi, se rompiamo quel sistema, la casa cos’é? La casa é un luogo sociale, ma diventa anche un segmento del lavoro, della riflessione. Forse le case che abbiamo costruito fino a ieri hanno bisogno di un aiuto. Penso che sia più l’appartamento in se’, forse, la prima unità di quella dell’ edificio, dove possiamo organizzare una vita diversa. Posso
imaginare che in un condominio ho dei spazi più aperti dove posso anche lavorare. In questo periodo sto facendo dei edifici nuovi in cui il nostro cliente ci ha chiesto come facciamo a far abitare le persone con l’idea che magari lavorano, hanno dei bambini a casa, possono fare le feste, e abbiamo fatto 2 spazi nuovi, uno a piano terra che diventato una lounge dove la gente può fare delle riunioni in uno spazio in mezzo che non é ancora domestico ma non é ancora ufficio. Oppure dedicare degli spazi ai piani dove io posso avere una stanza per lavorare stando sempre nel mio palazzo, avendo comunque un momento privato. Mi piace l’idea che stiamo rompendo questo meccanismo che durato tanto tempo; oggi abbiamo bisogno di un architettura che ci fa fare tante altre cose. Pero’ questo é un viaggio del passato. Se penso alle botteghe medioevali italiane dove c’era la bottega a piano terra, poi facevi la scala e c’era la casa, e’ un
po’ questa idea. É la modernità che ha voluto dividere le cose, abbiamo pianificato delle città dove c’e’ il luogo per divertirci, il luogo per dormire, il luogo per lavorare, il posto per mangiare; questa cosa é diventata più ibrida perché l’uso del tempo che é diverso. Una volta il tempo era dedicato a quelle cose lì; oggi posso stare a casa mia a fare una conferenza, posso stare in treno e lavorare. Questo mondo é diventato più complesso e questo grazie anche agli strumenti che abbiamo che sono più multitasking. Quindi bisogna rivedere questo tema del nostro tempo e come lo gestiamo.
AM: E se questo é il prossimo futuro della casa, qual’é il futuro del workspace?
MC: Ti faccio un esempio, i grandi gruppi bancari che avevano edifici con dentro 2000-3000 persone, dopo il covid hanno capito che magari il 20-30% delle persone possono lavorare anche da casa. Ciò ha cambiato molto l’idea dello spazio. Invece che comprare spazi di lavoro che costano tanto, abbiamo fatto per tanto tempo la politica di tante persone in poco spazio, che ha creato una condizione di lavoro non proprio bella. Il covid ha aperto lo scenario. Quindi il mondo del lavoro ha cominciato a realizzare che c’é un opzione diversa: una parte può lavorare da casa. L’altra é che forse il mondo del lavoro é anche quello dello scambio, quindi l’ufficio
non é più la fabbrica del lavoro, ma é un luogo d’incontro. Anche l’informalità diventa un modo per lavorare meglio con i spazi comuni che diventano sempre più importanti, ma é cambiata anche l’idea che lavorare non é solo stare davanti al computer per 8 ore ma stare insieme agli altri, scambiare meglio le idee. Questo é un altro percorso d’ibridazione. Direi che la pandemia, al di là del dramma, ha messo l’accento sulla qualità di vita delle persone.
Per esempio, al mio studio, più della meta' dei miei dipendenti, sono ragazze giovani che hanno il desiderio di farsi una famiglia. Quindi abbiamo convenuto che, siccome la loro vita é più importante del lavoro, avremmo trovato un modo perché non fossero penalizzate: una politica di smart working o di gestione del loro tempo in funzione dei loro bisogni. Cosi abbiamo abbiamo impiegato il tempo in maniera diversa offrendo delle opzioni che permettano a queste ragazze sia di vivere che di lavorare di meglio.
AM: Sei il fondatore della Scuola di Sostenibilità. Qual è la missione di SOS?
MC: SOS nasce per una domanda che mi fanno sempre i ragazzi quando faccio le conferenze, mi chiedono “ma dove posso imparare le cose che dici?”
L’idea é stata di fare una scuola per aiutare i giovani architetti ed ingegneri ad affrontare un cambiamento culturale. Da SOS non facciamo teoria, ma diamo loro degli strumenti per lavorare. Quindi forniamo strumenti di analisi ambientale e poi facciamo con loro dei progettiveri. Li aiutiamo a costruirsi un percorso di un anno in cui cambiano il loro punto di vista. Da SOS l’obiettivo é di restituire conoscenza che ha più di 30 anni, pero non é mai una restituzione a un senso solo: non sono solo io che ti dò delle informazioni ma sei tu che oggi hai 23 anni e che stai guardando quel futuro con un occhio diverso. Per me, quel dialogo é molto importante ,perché io il futuro lo vedo da una persona che ha già fatto un percorso professionale. Tu lo staiguardando con un occhio diverso. É uno scambio reciproco tra 2 generazioni diverse, e la scuola é questa grande energia.
AM: Parliamo di TECLA – l’inizio di una nuova storia con questa prima casa
ecosostenibile stampata in 3D da terra cruda che mira ad aiutare a risolvere la crisi
abitativa nonché a contribuire ad un futuro più sostenibile. Diresti che TECLA è una
sintesi della tua filosofia, ricerca tecnica e materica ed epitome della perfetta sinergia tra tradizione e tecnologia?
MC: TECLA é un pò la rottura di un paradigma. Il punto é questo: Se io ho un agenda e dico: il primo punto nell’ agenda e’ zero emissioni di CO2; secondo punto é riduzione del costo trasporto dei materiali a chilometro zero; terzo, deve essere sostenibile perché deve funzionare senza nessun rapporto energetico, il materiale é la terra che è qui a fianco a noi, uso un macchina che é molto semplice perché il vero lavoro non é la macchina che stampa, ma il lavoro progettuale, é la parte invisibile, tutto il lavoro che noi facciamo oggi con degli strumenti che non avevamo prima. Inoltre, ho dei strumenti digitali che mi aiutano a fare un percorso più veloce e più sicuro, ho una macchina che può stampare da terra, costruisco un edificio che ha zero emissioni perché non l’ho fatto viaggiare, non ho consumato il cemento. Allora vuol dire che io ti ho risposto a quella domanda. Non é detto che TECLA sia la risposta universale, si tratta comunque di una casa prototipo, piccola, solo di un piano, ha tutti i suoi limiti. Soltanto per dire che se io nell’agenda ho questi punti qua come rispondo a quest’agenda. TECLA nasce per rispondere a quella domanda. Con TECLA abbiamo rotto il paradigma che si può fare una cosa cosi. Ora dobbiamo andare avanti e migliorare quel prodotto.
AM: Come andiamo avanti?
MC: Bisogna fare un passo di ricerca; salire di un piano, salire due piani, capire quali altri
materiali possono costruire questa casa in maniera più resistente, l' uso delle fibre naturali, usare anche dei prodotti che possano aiutarci a renderla più stabile. Ora si aprono scenari di lavoro. A me piace TECLA perché é il risultato di un lavoro fatto con la scuola di sostenibilità e questa società WASP che fa la stampante. Perché TECLA é particolare? Perché entrare in un edificio fatto con la terra, e come se fosse la nostra anima, sentisse una cosa che non sentiva prima. Un conto é una scatola di cemento, e un conto é di entrare in una casa fatta con la terra dove senti che é qualcosa che era dentro di noi. Non so se questa sia la strada per fare delle città, pero’ intanto abbiamo fatto il primo gradino di un nuovo percorso. Il futuro di TECLA? Io non sono neanche scandalizzato se domani per fare 2-3 piani ci inseriamo dentro della calce
per farla più dura. Adesso cominciamo a fare un percorso per esempio legato all’uso delle fibre naturali come la canapa, il lino, le bucce del riso, la ginestra, c’é un mondo che noi abbiamo dimenticato che per secoli l’abbiamo fatto. Mi piace quest’idea che il futuro, che noi immaginiamo sempre ipertecnologico, in realtà si nasconde nelle pieghe del nostro passato dove facevamo tutte quelle cose che oggi vogliamo fare. Dobbiamo riprendere un percorso che si é interrotto con la modernità.