C’è un’immagine in particolare, nei ricordi associati a Salvatore Ferragamo, che rimane impressa lasciando un velo di mistero. Quella del giovane calzolaio inginocchiato, occhi chiusi, mano ferma sul piede della cliente, ne scorreva il profilo e le curve, la distanza dal tallone all’alluce.
Sin dalle prime esperienze, Ferragamo riusciva a creare una scarpa su misura servendosi solo del senso del tatto. Aveva solo nove anni quando fece il suo primo paio di scarpe, servendosi di filo, chiodi e tela bianca, le fece in una notte, perché la sorella potesse indossarle alla prima comunione.
Poi, compiuti sedici anni raggiunse i fratelli emigrati negli Stati Uniti, prima a Boston e poi a Santa Barbara, in California. Lì, attratto dal mondo del cinema, scelse di seguirlo, giungendo nel 1923 proprio a Hollywood, dove il suo primo negozio, “Hollywood boot shop”, lo fece diventare presto “il calzolaio delle stelle”.
Fin da bambino, Ferragamo diceva di non aver imparato il mestiere del calzolaio, ma si era solo ricordato, alludendo forse a una vita precedente.
Appassionato di yoga, della filosofia del dio krishna e della medicina omeopatica, poi laureato in chimica e ingegneria per corrispondenza, Ferragamo era “uno dei più grandi designer del paese, un uomo che usava l’ingegno”, racconta il regista Davide Rampello.
Oggi, a cento anni dal suo inizio, la storia di Ferragamo viene ripercorsa in una nuova retrospettiva al palazzo Spini Feroni di Firenze, che ospita il museo in suo nome e che dagli anni ‘40 vive l’arte e il lavoro di Ferragamo.
Intitolata “Salvatore Ferragamo 1898-1960”, la mostra rimane visitabile fino a sabato 4 novembre del 2024. Ricorda la prima retrospettiva dell’artista e calzolaio, svoltasi nel 1985 a palazzo Strozzi in seguito alla volontà di Wanda Ferragamo di creare un archivio dell’opera del marito.
Da Bonito a Hollywood, con il ritorno a Firenze nel 1927 e l’apertura della prima boutique Ferragamo. Il percorso espositivo si divide in nove capitoli, passando per il contributo rivoluzionario dell’artista dallo “spirito avanguardista”, un calzolaio che ha attraversato mondi, culture e correnti artistiche diverse. Che ha compreso nel proprio lavoro diversi e complessi studi anatomici per comprendere la meccanica del piede e la distribuzione del peso del corpo, come un ingegnere o un architetto capace di individuare in questo modo soluzioni personalizzate.
Questa nuova mostra concede un anno intero per godere della bellezza estetica delle calzature che hanno fatto la storia, e per ripercorrere le sfaccettature di una vita umile e ambiziosa. Una vita tra due guerre e due mondi, quello dell’Italia, fatto di artigiani e amore per la materia, e dell’America, con l’innovazione delle macchine e le produzioni di massa.
Tra scritti e documenti, manufatti, oggetti e opere d’arte, tra cui le scarpe fatte con materiali poveri o riciclati, il feltro, la paglia e la pelle di pesce, ma anche la scarpa d’oro, che riporta alla tradizione fiorentina, distinte dalle sfumature di bluette e giallo sole, giallo senape, fino al “verde futurista” e al “rosso ferragamo”, dall’argento al bianco e nero del pavimento a scacchiera del negozio hollywoodiano;
tra fotografie e filmati, l’esposizione unisce gli aspetti di ricerca dei materiali, di esplorazione e ispirazione di Ferragamo, i suoi studi anatomici e la sperimentazione cromatica. Ripercorrono quel suo pensiero “visionario e senza confini”, secondo cui non vi era distinzione tra “l’alto e il basso”, racconta la direttrice del museo Stefania Ricci, bensì “tutto era in funzione dell’arte”.