Ricerca e studio, oltre ad una passione sconfinata per la cultura giapponese. Alessandra Giannetti fondatrice del marchio omonimo nato nel 2001 a Roma, ci racconta, “Opera”, la sua ultima capsule collection realizzata come un micro-guardaroba, presentata con un evento nello store di Piazza Capranica nella capitale.
Una piccola valigia leggera da portarsi dietro per un viaggio che abbatte gli spazi e le frontiere, non solo geo fisiche, ma pure quelle del commerciale. Una collezione che rappresenta le persone reali anche in un momento molto confuso e massificato, ideando in qualche modo la concezione dell’anti-popular testimonial.
Tre criteri centrici alla base di tutto: semplicità, trasformabilità e leggerezza.
Cos’è Opera, come nasce?
“La capsule collection è in realtà un micro guardaroba composto da 8 pezzi che sono poi gli otto pezzi iconici delle mie collezioni passate e assemblate come un’unica storia interscambiabile da mettere in valigia. C’è un concetto di grande leggerezza. È seasonless, quindi non c’è una stagionalità, i tessuti sono in lino, in cotone e uno jacquard di lana molto leggero!. Non conta dove sei ma come lo puoi utilizzare. “Alla base c’è il concetto della globalizzazione e del globtrotter”.
Quanto è importante la relazione con il territorio?
“È centrale ed è la mia lotta. Il marchio continua ad essere indipendente per mantenere i concetti di valore e di manifattura che andrebbero a sminuirsi in un contesto più commerciale. Il Made in Italy è fondamentale, viene realizzato tutto tra Roma, Prato o Macerata. Non c’è nulla che non sia italiano”.
Come mai questo nome?
“In realtà è casuale. Il nome nasce dalla volontà di sottolineare, anche a livello internazionale, l’identità della collezione. Opera è una parola italiana, ma è capita in tutto il mondo senza bisogno di traduzione, richiama bene tutto quello che è arte, manufatto e artigianalità”.
La trasformabilità è una costante?
“La trasformabilità è centrale in questi capi, la gonna diventa abito, è senza taglia, quindi veste dalla 38 alla 46 anche il pantalone ha solo due taglie, il vestito che se capovolto diventa una t-shirt e poi la borsa che prende varie forme. Il tema della trasformazione per me è fondamentale, probabilmente è stato ed è importante l’impatto con il Giappone, da dove appunto proviene l’idea del rielaborare. Semplicità, trasformabilità e leggerezza, raccontano l’estetica giapponese e mi appartengono, soprattutto in un mondo molto confuso, pieno di proposte massificate, per me è importante una certa pulizia delle linee”.
Come si intreccia con Opera la questione dell’anti-popular testimonial?
“Per Opera la testimonial è Federica di Martino, lei in realtà è una cliente ed una appassionata del brand”.
Il fatto che diventasse testimonial potrebbe essere quasi naturale, è parte integrante della filosofia della Giannetti non avvalersi per forza di modelle o personaggi del fashion system, ma persone che si avvicinano il più possibile ad una realtà quasi quotidiana. “Mi piace la realtà, la verità”.
Anche con “Never Surrender”, la Fall Winter 16/17, Alessandra Giannetti richiese la presenza di otto donne emblematiche per posizioni, ruoli e riconoscimenti come; la giornalista Cinzia Malvini, la talent scout ed ex musa di Thierry Mugler, Simonetta Gianfelici, la cantante Awa Ly, la produttrice cinematografica Francesca Cima, le attrici Barbara Folchitto, Giada Lorusso, Clara Galante e la scrittrice Paola Sorgia.