Gucci Cruise 2018, la collezione che spacca, opinioni e non solo.
Come si fa a definirlo mero gioco di styling?
No, non è solo virtuosismo iconografico, magnifico, eccentrico, stereotipo di se stesso o esercizio di genere. No, adesso, con Alessandro Michele in circa tre anni, il marchio ha raggiunto un livello di potenza tanto alto da potersi permettere di cambiarsi i connotati e diventare un movimento.
Una Guccification a cui tutti aspirano e che nonostante pochi possano permetterselo, diventa l’artefice di una nuova categoria culturale che sa bene come esprimersi: i social il loro pane quotidiano. Più del punk, del dandy, che qui oltretutto si reinventa, più dei limiti del gusto stesso che a molti definiscono circense, per dirla alla buona.
Gucci, più che mai diventa un contenitore di fenomeni iconici ed iconografici che rappresentano molto più di un bel vestito. Adesso è un meme, un monito, un’ambizione. Le rivoluzioni più grandi non le fanno solo gli stilisti ma soprattutto chi le loro collezioni le indossa. È una serie di manifestazioni parlanti che non vedono solo il prodotto in se ma tutta l’allure che manifesta, l’idea di potersi esprimere in un modo così particolare che tutti d’altronde sono disposti a copiare, e forse è proprio su questo che a Gucci diverte, concedendosi la libertà di sbeffeggiare i contraffattori cambiandosi pure la lettera del nome.
Gucci è uno stato d’animo, un’allegoria irrinunciabile, Gucci è Bacco e noi vogliamo ubriacarci del suo vino.
Gli abiti della collezione Cruise 2018 di Gucci sono un mix di elementi broccati, ricamati uniti ai monili antichi, pensati alla perfezione anche con l’estetica paggetto delle acconciature. Poi ancora gender fluid, tagli oversize, stampe, tante stampe, immancabili quelle di derivazione mitologica con Zeus, Hercules e ovviamente Dioniso, che si alternano alla rilettura dei volumi.
Sa tanto di un aristocraticissimo snobpop. Alessandro Michele lo ha reso così tanto desiderabile che ha convinto pure il patron della Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze a far girare le chiavi delle porte ancora meglio di San Pietro con le sue, affrescate dal Perugino. Portando in passerella tra il corridoio Vasariano e la Galleria Palatina, elementi di costume mischiati allo stile.
Chissà che avrebbe pensato la dinastia medicea, committente del palazzo, se la Grecia non avesse annunciato un no perentorio per far sfilare il marchio nel suo intoccabile Partenone. Chissà se Lucrezia Borgia potrebbe essersi definita fiera di veder rinnovato il portamento dei suoi fili di perle, ritratte da Bartolomeo Veneto, o se Botticelli e Ghirlandaio avrebbero magari storto in naso davanti a cotanta caricatura. Lo styling c’è ed è evidente, basterebbero anche solo le coroncine dorate appoggiate sui capi o strette tra le mani a spiegare quanto il tutto sia decisamente Rinascimentale, ancora più del luogo stesso. Un’armonia ricercata, fatta di musiche e sonetti, colori, perle e pietre, dettagli talmente accurati che sembrano fare un’ammiccante occhiolino ai dipinti d’origine fiamminga che per minuziosità hanno tanto da insegnare.
E poi, oltre a tutti gli altri, come qualcuno ha detto, Alessandro MIchele è riuscito a portare Nada ad una sfilata.