Posh meets Fabio Novembre, l’architetto e designer italiano che disegna oggetti e interpreta spazi per le più importanti realtà internazionali dal design alla moda, passando per l’arte e l’architettura, ci confida di essere molto ottimista sul futuro.
Ecco un estratto dell’intervista a Fabio Novembre che potete trovare sul numero di POSH in edicola.
Leggo la vita come una corsa a staffetta in cui devi essere pronto a percorrere il tuo tratto afferrando il testimone dalla generazione precedente e affidandolo alla successiva, cercando di performare secondo le tue possibilità.
Nato a Lecce nel 1966 ha vissuto tra Milano e New York. Nella prima città si è laureato nell’84 in Architettura al Politecnico, nella seconda invece ha frequentato un corso di regia cinematografica presso la New York University. Nel 1994 – anno in cui inaugura il suo studio – incontra proprio a New York Anna Molinari che gli commissiona il primo lavoro di architettura d’interni: la boutique di Hong Kong. Nel suo percorso collabora con le più grandi aziende italiane di design come Cappellini, Venini, Meritalia e Kartell, sviluppando inoltre showroom, boutique e interni per brand come Lavazza e Stuart Weitzman. Nel 2014 grazie alla partnership con il Milan, ha dato vita al nuovo quartier generale della Società, Casa Milan, e al nuovo logo del Club. Da poco ha realizzato la madia personalizzabile LOVE per Driade, un poster bidimensionale che parla d’amore. «Amore è scegliersi a scatola chiusa, avvolti da un alone di mistero. Amore è un fedele custode di sogni condivisi, un contenitore di possibilità».
Sicuramente stiamo vivendo un periodo sociale talmente intenso che ne usciranno un mare di idee. Abbiamo parlato tanto di globalizzazione per poi scoprire che solo la pandemia ha unito il mondo, partendo da una località della Cina: l’effetto farfalla di Edward Lorenz.
Come faremo nell’attesa del vaccino?
Rivaluteremo e studieremo la prossemica (la scienza che studia lo spazio o le distanze come fatto comunicativo n.d.r) nel pensare alle nuove modalità di utilizzo. Poi, credo assolutamente nel concetto di filtro all’ingresso, scientifico e con rigidi protocolli, che si voglia accedere a un aereo, uno stadio o una discoteca. Si può pensare a far ballare la gente a metri di distanza o a far entrare tifosi messi a scacchiera? La voglia di stare insieme è bellissima, bisognerà regolarla nei mesi a venire.
Cosa le suggerisce il cambiamento subito dai ristoranti?
Che nell’esperienza, l’ambiente conta. Ma il cuore resta la cucina: io adoro il cibo, per me è una forma di amore verso gli altri. Mi piace questa tendenza al delivery, inaugurata dai cuochi famosi: garantiscono standard importanti, l’autorialità del piatto, la credibilità necessaria.
In definitiva, come saranno i locali del futuro?
Si arriverà ovviamente a soluzioni di compromesso tra bellezza e sicurezza, forse sarà la volta buona che designer e committente si capiranno di più. Oggi si parla tanto di convivialità, che parte dalla realizzazione dei piatti e finisce in sharing table: un concetto in discussione, causa pandemia. Ma attenzione, convivialità è l’opposto dell’ammasso, della semplicità.
Anche lei non vedrà l’ora di tornare a vivere più sereno.
Ho pensato a come poter fare tesoro di questa esperienza: mesi in cui si è rimasti soli o con poche persone. Un momento di introspezione dove la natura ha mostrato cosa torna ad essere quando l’uomo si ferma. Non sta a me dire se siamo migliori o peggiori di prima, però qualcosa è cambiato. Tanto.
Il nuovo sogno da realizzare prima possibile?
Il mio lavoro è questo: realizzare sogni. Continuerò a farlo.