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Il prossimo 4 marzo torna sulle passerelle di Parigi Poiret, il marchio dell’alta moda francese, dormiente da quasi un secolo.

Anne Chapelle, l’imprenditrice che oltre al settore farmaceutico e chimico, di tanto in tanto è alle prese con i marchi della moda, così detti “sleeping beauty”, grazie a BVBA32, il suo gruppo dal valore di 35 milioni di dollari e agli alleati cinesi dal calibro degli eredi Samsung e Shinsegaepiù la couturier cinese Yiqing Yin che sarà a capo della guida creativa, ha tutto l’intento di riportare sul mercato Poiret, chiuso dall’omonimo fondatore nel 1944, quando ormai le donne del periodo post bellico, inebriate dal sapore dell’indipendenza, indossavano le collezioni dell’acerrima nemica di tutti i sarti, quelle di Gabrielle Chanel.

La storia di Paul Poiret riguarda un marchio che ha segnato la moda rivoluzionaria del primo ‘900, grazie all’intuizione più che etica, sicuramente estetica, di liberare il corpo delle donne dalle costrizioni di busti e corsetti, lasciando ampio spazio alla morbida biancheria intima. La moda di Poiret fatta di tuniche fluide e linee verticali, era in netta controtendenza rispetto a tutto quel mondo in cui le regole di stile venivano dettate da regine e principesse, troppo affezionate ai loro opulenti tessuti e alle loro tournure, per indossare capi se pur artistici, troppo pratici.

Poiret, precettore della modernità si rivolgeva a tutte le signore dell’alta società che uscivano a piedi e a quelle davvero avanti, che ogni tanto si azzardavano a salire su qualche mezzo pubblico.

Il motivo ricorrente delle sue collezioni risiedeva nell’arte Orientale, un mix di culture cinese e giapponese che lo portava a confezionare kimono ricamati e davvero incomprensibili alle donne occidentali, ma che gli conferì la nomina di “sultano della moda”. Il più famoso è il Cofucius, un soprabito in lana bordeaux ornato da ricami e medaglioni, che fece letteralmente inorridire la principessa Bariatinsky, arrivata dalla Russia per vedere le ultime collezioni di maison Worth, dove Poiret ne dirigeva la linea. Stanco di quell’ambiente e complice la fuga a gambe levate della principessa, Poiret aprì il suo atelier nel 1903, una piccola sartoria al 5 di rue Auber, che cambiò sede per altre due volte, prima in rue Pasquier nel 1906, poi in rue d’Antin nel 1909.

Grande estimatore dell’arte, non appena le celebrità del teatro e della danza tra cui Isadora Duncan, la sua più celebre musa, si lasciarono vestire da lui, tutte le altre non poterono far a meno di voler entrare nelle jupe entravée, quella gonna ad anfora tanto stretta alle caviglie che quasi impediva di camminare. Ecco, se Poiret ha liberato le donne dai corsetti, le ha sicuramente intrappolate in una visione avanguardista e come scrisse Cecil Beaton, “infilzò” le donne con piume, le “obbligò” a indossare fili di perle alti fino al mento e le gettò addosso carcasse di volpi. Un uomo dal gusto eclettico e sopraffine non solo per la moda ma anche per i piaceri della vita, rimasero sempre celebri le sue sontuose feste, la più famosa è La fete de la mille et deuxième nuit, dal sapore onirico e teatrale.

Quello del marchio Poiret, come spesso accade è un revival quasi impossibile, soprattutto perché c’è un immenso gap generazionale da coprire, ma che la Chapelle intende conquistare passando per lo sviluppo efficace dei social media e del digital marketing, la business woman ingaggiata come Chief Executive di Poiret, è affiancata da Chung Yoo-Kyung (nipote del fondatore di Samsung Group, Lee Byung-Chul) e dal department store Shinsegae il gruppo sud coreano che nel 2015 ha acquistato i diritti del marchio da Luvanis, la società lussemburghese presieduta dal magnate Arnaud de Lummen. In passato Anne Chapelle ha già riportato alla gloria i marchi dal calibro di Ann Demeulemester e Haider Ackermann, un po’ meno fortunati invece i tentativi di Worth e Vionnet.