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A Venezia moderno e contemporaneo si guardano e confrontano. La Fondazione Biennale di Venezia e Punta della Dogana propongono due mostre che intrecciano arte e storia.

In attesa che la Biennale torni a esporre, una mostra a Venezia ne racconta la storia. Le Muse Inquiete: la Biennale di fronte alla storia vede l’eccezionale curatela dei direttori di tutte le sezioni che compongono la Biennale: Arti Visive, Cinema, Danza, Musica, Teatro, Architettura. Dal 29 agosto all’8 dicembre 2020 le diverse anime della Biennale ripercorrono le modalità artistiche tramite cui la Fondazione ha saputo interpretare gli eventi sociali, culturali e politici che hanno scosso il secolo breve.

Le due guerre mondiali, la Guerra Fredda, la caduta del muro di Berlino, la globalizzazione, catastrofi naturali e pandemie solo per citarne alcune. Il Novecento, dunque, è l’autentico protagonista dell’esposizione. Opere d’arte moderna, documenti storici, manifesti, filmati rari e tanti altri materiali d’archivio sono al centro del percorsa che si articola allora nelle sale del Padiglione Centrale e nel Padiglione del Libro ai Giardini.

Spostandoci a Punta della Dogana il passo geografico è breve, ma il salto temporale ci trasporta nel contemporaneo. La sede della François Pinault Collection propone Untitled, 2020. Tre sguardi sull’arte di oggi. Sesso, morte, lutto, elementi naturali, emergenza climatica, ma anche attivismo, utopia, e le origini della pittura: attraverso un percorso espositivo che si articola in 18 sale, il visitatore sfila tra le interpretazioni che gli artisti visuali hanno saputo dare riguardo alcune delle macro tematiche che accomunano l’umanità intera e alle grandi questioni presenti nell’arte e nella cultura contemporanea.

Particolare attenzione, inoltre, viene concessa alla dimensione femminile.

Nell’intenzione di valorizzare gli outsider, Untitled dà spazio e approfondimento alle artiste donne, spesso pioniere anche per via delle circostanze che le vedono spesso svantaggiate. In tal senso è emblematica la decisione di rimuovere dalla mostra l’opera Don’t Let the Darkness Eat You up di Saul Fletcher. L’artista, infatti, si è macchiato lo scorso luglio dell’omicidio della compagna Rebecca Blum, anch’essa artista. Non un atto di cancellazione, ma un segnale di cordoglio. Non un tentativo di zittire, ma anzi un urlo che vuole diffondere un doloroso senso di ingiustizia.