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Gianluca Toniolo ci viene incontro con un grande sorriso, è felice si vede, la nuova avventura professionale è impegnativa, ma professionalmente ricca di stimoli. Ci accoglie nella nuova sede di Dolce&Gabbana beauty in via Kramer a Milano, in una parte dello storico edificio ottocentesco ex convento di clausura, dove le monache confinano separate da pareti semitrasparenti che ne lasciano intravvedere solo le ombre. L’Headquarter di tremila metri quadri, realizzato con un importante restauro conservativo e di riqualificazione, ci accoglie in un lungo e affascinante corridoio a volte sul cui fondo si staglia la statua di Sant’Ignazio di Martire, opera di Piero Ferroni in prestito dal Duomo di Milano. A lato del corridoio, una serie di sale riunioni con i soffitti alti, mattoni in vista e rivestimenti di marmi e quarzite nera, mentre l’arredamento è della casa con una dominante dei toni animalier. A guidare il progetto da settembre 2021, nel ruolo di Amministratore Delegato operativo è stato coinvolto Gianluca Toniolo, manager che conosce il mondo del beauty come pochi avendo lavorato per tutti i principali attori del mercato da L’Oreal, a Kering, a Chanel e dal 2009 in poi in LVMH.

Un progetto affascinante con numeri impressionanti, 1 miliardo di euro a retail previsto in crescita già quest’anno del 20 % con un previsionale di consolidato che va tra i 300 e i 400 milioni. Dal punto di vista della crescita il mondo beauty ha valori esponenziali e potrà contribuire all’ulteriore rafforzamento di tutta l’azienda…

Sì assolutamente, il nostro è un progetto di brand building, di visione. Stefano e Domenico considerano la fragranza come l’ultimo accessorio dell’abbigliamento da sviluppare e la loro idea è di costruire un marchio lifestyle che contamini tutti i momenti della vita di un consumatore. L’home design ne è un esempio: ti do la possibilità di avere anche a casa tua un segno di DG. Hanno coltivato questa idea sin dagli inizi: loro sono dei brand leader, sognano e lavorano per vedere il loro marchio dove pensano che debba stare. Sempre coraggiosi negli anni in tutte le scelte.

 

Quanto è coinvolgente e complesso il progetto?

È una sfida difficilissima per tempi e modalità, perché parliamo di distribuzione a livello mondiale. Devi sapere di operations, con chi fare i prodotti, come farli e quanto devono costare, e devi sapere di finance, perché giustamente c’è un piano da sviluppare che deve rispondere a determinati criteri. Per me – manager italiano – è un’opportunità essere a capo di un marchio italiano così forte, condividendone i valori. Una scelta coraggiosa per mettermi in gioco, fortemente motivazionale, specie se pensi di avere le competenze per poterla fare. Sono esperienze che ti portano a essere immortale professionalmente ed io lo dico sempre al mio team: “tutti quelli che sono qui oggi, in quest’avventura, saranno immortali perché i primi ad aver fatto questa cosa in questo modo”.

 

Un dato bellissimo è che hai assunto tanti giovani collaboratori provenienti da 25 Paesi diversi. C’è quindi un confronto internazionale pazzesco, una sorta di diffusione di energia nuova, mondiale…

Anche qui ho cercato di prendere il meglio dalle esperienze e dalla vita professionale, decidendo di portare a bordo un melting pot di persone che mi aiutino nello sviluppo dei progetti, a trovare i canali di comunicazione e di crescita del prodotto che possano parlare al mondo. Hanno un’età media di 36 anni, e arrivano con tutti i pregi e i difetti dei loro Paesi, condividendo un bagaglio di esperienze importante.

 

Hai coniato lo slogan move fast and light

La difficoltà di fare una startup così grande è creare velocemente una cultura d’azienda. Persone che condividano da subito i tuoi stessi valori, visione e modalità di lavoro. Il mantra che ho dato a questi ragazzi è: move fast and light, dobbiamo cioè essere veloci e leggeri. Noi, rispetto alle grandi corporation che hanno strutture ovunque, investimenti folli, accesso a qualunque tipo di risorsa, non abbiamo questi mezzi. Ma abbiamo un grande vantaggio competitivo, se vuoi più importante, che è quello di essere veloci. Il che significa essere rapidi nel rispondere alle richieste del consumatore, arrivare prima degli altri a fare le cose e in modo migliore. Per esempio impiegando solo 8 mesi per mettere a punto la nuova fragranza lanciata il giorno di San Valentino.

Fast and light vuol dire che, insieme al team, vedo, faccio un brief e decido. Il bello che ci fa alzare al mattino e venire al lavoro con passione è che prendi delle decisioni strategiche che muovono milioni di euro e lasciano un’impronta nel mondo di quello che D&G è realmente.

Il fast and light spesso non va d’accordo con il peso strategico delle decisioni, ma riusciamo a bilanciarlo grazie a tanta esperienza e alla passione dei giovani e all’energia che ci trasmettono. È uno scambio continuo, meraviglioso.

 

È sempre l’Asia la macroarea di riferimento per i vostri prodotti?

Vi do oggi una chiave di lettura che probabilmente non avrei dato due anni fa. Il bello del mondo è che gli equilibri si spostano e, come del resto sta accadendo in tutti i settori, anche in quello del beauty si stanno spostando e anche molto più velocemente rispetto a 5 anni fa. Fino al 2018 si sentiva parlare dell’Asia come principale area di crescita, oggi quella parte del mondo rimane comunque importante, ma la guardiamo però ponendoci qualche interrogativo. Intanto abbiamo aperto a Singapore una struttura che gestisce l’area. Stiamo lavorando in una logica di ricostruzione del brand, credo che nel giro di 2 o 3 anni, avremo uno spazio importante. Stiamo già lavorando con la Corea e prossimamente andremo anche in Cina.

Al momento osserviamo un forte ritorno al mercato Nord-Americano, che sta trainando i consumi delle fragranze in modo incredibile. L’Asia resta sì importante, però non è un mercato trend setter. Gli Stati Uniti, al contrario, riescono a creare nuovi fenomeni, nuove mode che poi si distribuiscono nel mondo e questo concetto è ritornato. Non a caso abbiamo una filiale a Miami, proprio per avere un punto di osservazione esclusivo che ci permetta di conoscere perfettamente che cosa il consumatore vuole senza doverci arrivare attraverso la mediazione del distributore. Pochissimi hanno una filiale negli Stati Uniti, ma noi dobbiamo fare un esercizio di brand building. La nostra priorità non è fatturare, il fatturato è una conseguenza. L’obiettivo, è mettere DG beauty nella mente dei consumatori nordamericani, e per fare questo dobbiamo conoscerli a fondo, in modo tale da poter fare le scelte migliori.

 

Quindi come si stanno spostando gli equilibri nei mercati internazionali?

Oggi, come dicevo, il mercato Nord-Americano sta crescendo tantissimo, così come quello latinoamericano. E i valori del popolo latinoamericano sono 100% DG. Il consumatore messicano, per esempio, è assolutamente DG. Per noi sono prioritari, così come Medio Oriente ed Europa (Regno Unito e Spagna soprattutto).

Quindi le geografie sì, si spostano, ma il nostro marchio ha un potenziale inesplorato incredibile perché sappiamo dove andare e abbiamo delle opportunità di crescita importanti.

 

L’Africa che sarà un’area di grande sviluppo economico per voi quanto pesa?

È un mercato per noi molto interessante. Il problema è che non esiste un network distributivo che ti consenta di fare brand building. Hai qualche aeroporto, 2 o 3 non di più, nei quali puoi fare uno statement con la marca e hai qualche department store. Oggi il fatturato che arriva dall’Africa pesa intorno al 2 o 3%, è ancora piccolo però ha un bel potenziale.

 

Come si fa a conquistare spazi quando hai una concorrenza forte e, per certi versi, meglio posizionata?

Le leve sono due: la prima è chiaramente l’appealing del nostro marchio e ho capito che è molto più forte persino di quanto immaginassi.

La seconda è l’innovazione. Dobbiamo essere molto aggressivi su questo versante, perché ci dà la possibilità di conquistare spazi commerciali che altrimenti con il solo catalogo non riusciremmo a prendere.

 

Innovazione di prodotto, ma anche a livello di comunicazione?

Assolutamente sì. Per conquistare gli spazi oggi devi stupire e questa non è una regola solo del beauty, ma generale. Torniamo al mantra “move fast and light”: se tu sei più veloce, sei bravo e fai anche dei progetti coerenti, riesci a conquistare gli spazi.

 

Ci anticipi le prossime strategie e lanci?

Quest’anno ci stiamo dedicando allo sviluppo delle fragranze, anche qui innovando. Abbiamo lanciato la nuova fragranza femminile Q insieme alla controparte maschile K, a settembre avremo un altro lancio femminile molto importante con una testimonial di grandissima rilevanza. Il 2024 sarà dedicato al make up dove recupereremo il concetto del colore proprio dna del brand ed infine il 2015 sarà dedicato allo skincare che avrà una visione molto lifestyle.

 

D&G è uno dei pochi brand che è ancora nelle mani dei fondatori…

Esatto, io ho l’energia dei fondatori prima ancora della loro visione e questo per me è fondamentale. In questo senso c’è anche la loro intelligenza nel decidere di affidarsi e fidarsi dei professionisti che assumono per guidare l’azienda. Lavoro a stretto contatto con Stefano tutti i giorni per capire come lavorare efficacemente su prodotto e comunicazione.

 

Cambia qualcosa per quanto riguarda il mercato italiano?

L’Italia è la nostra home country, innanzitutto. Noi qui dobbiamo entrare tra le prime 3 marche top del mercato. È un mercato che oggi purtroppo non registra tassi di crescita elevati, questo oramai da anni, ma in cui puoi fare degli statement ed è questo quello che faremo. Qui possiamo imparare tanto perché non è un mercato facile, anzi…

 

Quale sarà la logica distributiva?

Andremo a selezionare il numero dei punti vendita, facendo delle scelte distributive più chiare, più in linea, con un esercizio di elevation del marchio. Poi presteremo grande attenzione alla brand equity, ovvero il marchio deve rimanere tra i brand fashion più rispettati, con un piano innovativo che stravolgerà il mercato: nessuno infatti ha mai lanciato due fragranze femminili nello stesso anno. Questo, del resto, è un valore di DG fashion, cioè essere pionieri. Ed esserlo vuol dire cambiare le regole della categoria e noi lo possiamo fare.

 

Dolce&Gabbana è il primo brand italiano fashion e lusso a gestire direttamente le lineee fraganza e make up. Altri gruppi, anche se in maniera ibrida, si stanno muovendo nella stessa direzione. Sarà questa la tendenza? 

Sì, noi siamo stati i pionieri: da un lato per le motivazioni e i valori che citavo prima, dall’altro perché abbiamo anche dimostrato di essere in grado di farlo e anche bene. Dunque credo che il nostro esempio farà da acceleratore per spingere altri brand a portare all’interno dell’azienda il comparto beauty, che è molto importante per un marchio. Oggi uno dei temi del mercato dei marchi fashion è quello di ringiovanire l’immagine e di reclutare i giovani consumatori.

 

Cosa si perde nel dare in concessione il brand? C’è un prezzo che va pagato da questo punto di vista?

Quello che perdi è la semplicità. Mi spiego, quando fai una scelta del genere vai in una direzione di grande complessità, figlia del fatto che non puoi appoggiarti a delle strutture esistenti e che devi quindi costruire ex novo internamente, formando delle competenze, il tutto con una complessità folle. Perdi in semplicità, ma sei sul campo di battaglia tutti i giorni: pensi a quali progetti mettere in piedi, pensi a come farli, alla comunicazione, alla logistica, ai magazzini dove distribuire, alle persone, al team. E questa è una cosa bellissima, noi stiamo costruendo delle competenze che rimarranno nella storia di D&G.

 

Perché questa idea di entrare nel Gruppo Intercos, uno dei più importanti player mondiali nella ricerca, sviluppo e produzione di prodotti di bellezza?

Questa è una scelta che si lega all’italianità del progetto. Il concetto primo è stato di voler lavorare con partner italiani perché troppo spesso tendiamo a non valorizzare le nostre eccellenze. Intercos, che tra l’altro è “a due passi da casa” a soli 35 km da Milano, è un primato italiano nell’universo mondiale del makeup. Anche i marchi internazionali, in primis quelli francesi, passano da Intercos per valutare le polveri, la ricerca, lo sviluppo, le texture. Non a caso, il 70% del makeup mondiale è prodotto in Italia. Successivamente, come sempre accade, se si crea anche una chimica tra le aziende per condivisione di mentalità e visione, scatta quella scintilla che ti porta a fare anche un investimento finanziario, un messaggio per affermare che: “DG questo progetto lo fa seriamente, nell’industria e nelle persone”. Un segnale fortissimo di commitment dell’azienda.

 

L’inclusività è un tema che permea ogni vostra comunicazione, ma resta sempre presente anche l’impegno sulla sostenibilità…

Quando si parla a Stefano e Domenico di inclusività, si arrabbiano, perché per loro questo concetto non dovrebbe ancora creare tanto “scalpore”. È parte del DNA del brand, che ha sempre fatto tanto forse a volte comunicandolo poco. Per quanto riguarda l’inclusività Alfonso Dolce ha immaginato, più di 25 anni fa, le fabbriche a km zero a Legnano. È tutto fatto lì, questa è la sostenibilità vera, che è fatta di artigianato, di persone che lavorano, di fabbriche che sono a poco distanza da noi. Certo, poi uno deve essere bravo a misurare le minori emissioni di Co2 per fare un bel cartello dicendo “io in un anno ho risparmiato…”. Ma D&G questo lo fa da 25 anni. Stefano e Domenico sono eccezionali, visionari in ogni scelta.

 

Tantissimi progetti, lavori, ma sei riuscito a conservare un po’ di tempo per le tue passioni?

Questa è un’azienda che ti assorbe, così come il progetto stesso, che è fatto in primis di passione. Se non hai questa spinta, non ce la fai, anche perché ovviamente ci sono giorni di sole, ma anche di pioggia, ed è la grande passione e serenità della scelta fatta che mi aiutano. Poi sicuramente la famiglia, nel poco tempo libero, e lo sport, che amo in modo viscerale. Il mio kitesurf non me lo toglie nessuno. E nemmeno l’Inter.