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Poetico, cosmico, reale eppure invisibile. È così il senso dei Vortici di Hidetoshi Nagasawa, l’artista arrivato in Italia dal Giappone in sella a una bicicletta con in tasca cento dollari americani e un’idea di arte che risulta difficile da decifrare. Un concetto che ha cambiato i connotati del significato della contemporary art, sovvertendo lo scopo dell’opera stessa.

Sarebbe troppo semplice definire Vortici come un conglomerato di elementi culturalmente zen. Vortici, innanzitutto, è un solo vortice, l’altro non è visibile all’uomo, ma è comunque percettibile. Occupare uno spazio vuol dire emanare energia, e il movimento rotatorio dell’opera ne è l’artefice. Il vortice impegna un luogo e ne racchiude l’essenza scalpitante senza imprigionarla, la lascia libera di muoversi all’interno dei vuoti di sette maestosi parallelepipedi curvi, sei metri per due, realizzati con una lega di alluminio e titanio il cui moto, creato proprio dalla disposizione della scultura, rappresenta secondo Nagasawa la metafora dell’energia che anima il mondo, e come una figura simbolica, è anche la forma dell’equilibrio universale.

Una scultura, che pur creando un fil rouge coerente con tutta la produzione artistica del maestro Nagasawa, esalta all’ennesima potenza l’intento di avvalorare una filosofia che esplora il legame tra spazi cavi e colmi e volumi pressanti oppure impalpabili. Insieme a dimensioni presenti, preesistenti e prossime che creano un legame profondo con una linea temporale che, analizzando anche il nuovo collocamento dell’opera, trova una perfetta significazione concettuale con la famiglia Bianchi non solo progenitrice di una tra le più storiche e longeve sartorie dedicate al suit da uomo come la Lubiam, ma anche mecenate.

Sponsorizzando il progetto di Nagasawa, Lubiam innesca una nuova linfa espositiva dell’opera che dopo aver introdotto per un intero anno gli esploratori museali verso l’ingresso della Camera degli Sposi di Palazzo Ducale a Mantova, vedrà ancora per molto tempo fare tappa fissa nella città dell’arte, presso il cortile dell’iconica fabbrica sartoriale. A guardarla bene, l’opera che allude a più di una presenza, è liberamente ispirata al gesto di una mano che ruota attorno al vuoto, compiuto dallo stesso Maestro quando vent’anni prima di realizzarla osservava “Presentazione al Tempio” di Mantegna. Non potremmo allora far a meno di notare che la scultura, quasi per una coincidenza ancestrale, trova un suo tempio identificativo all’interno della manifattura/museo, ricchissima di opere d’arte, che a sua volta esalta ancor di più il rapporto tra tempo e continuità, rappresentato oggi dalla quarta generazione entrante, oltre che mettere in risalto la fedele voglia di legare il mondo artistico a quello stilistico.